Nobleza Italiana.-Enciclopedia italiana.-a

Soledad  Garcia  Nannig; Maria Veronica Rossi Valenzuela; Francia Vera Valdes


NOBILTÀ. - Un fenomeno costante in quasi tutte le forme di società politiche, fino dai tempi più remoti della storia, è l'esistenza di gruppi più o meno numerosi di famiglie costituenti una classe privilegiata, la quale secondo i tempi e le circostanze tende ad accentrare nelle proprie mani il potere, ovvero si limita a esercitare un'influenza più o meno preponderante sull'indirizzo politico dell'organizzazione sociale cui appartiene.

Questa classe è rappresentata dalla nobiltà, la quale pertanto si può definire come l'insieme d'individui o di fmmiglie, costituenti, nel senso sopra indicato, una speciale classe sociale del tutto distinta dalle altre.

La "nobilitas" romana. - Quando nelle lotte tra i patrizî e i plebei combattutesi nei secoli V e IV andarono, uno a uno, perduti i privilegi dei primi, fu legalmente libero a tutti l'accesso alle più alte cariche dello stato, ma di fatto lo conseguirono soltanto poche famiglie plebee e si costituì così un'aristocrazia plebea che, insieme coi patrizî, venne a formare una nuova nobiltà, nobilitas (da nosco "conosco"). Chi, nato fuori di questa cerchia, riesce a conseguire una delle cariche cumli, è un homo novus, il quale, specialmente se giunge al consolato (secondo alcuni soltanto in questo caso) nobilita i suoi discendenti, che entrano a fare parte della nobilitas.
NOBLEZA. - Un fenómeno constante en casi todas las formas de sociedad política, desde los tiempos más remotos de la historia, es la existencia de grupos de familias más o menos numerosos que constituyen una clase privilegiada, que según los tiempos y circunstancias tiende a centralizarse en el poder está en sus propias manos, o se limita a ejercer una influencia más o menos preponderante sobre la dirección política de la organización social a la que pertenece.

Esta clase está representada por la nobleza, que por tanto puede definirse como el conjunto de individuos o familias, constituyendo, en el sentido indicado anteriormente, una clase social especial completamente distinta de las demás.

Las "nobilitas" romanas. - Cuando en las luchas entre los patricios y los plebeyos en los siglos V y IV se perdieron los privilegios de los primeros, uno a uno, el acceso a los más altos cargos del Estado fue legalmente gratuito para todos, pero en realidad solo unas pocas familias lo lograron plebeyos y así se formó una aristocracia plebeya que, junto con los patricios, llegó a formar una nueva nobleza, nobilitas (de nosco "yo sé"). Quien, nacido fuera de este círculo, logra obtener una de las oficinas cumli, es un homo novus, que sobre todo si llega al consulado (según algunos solo en este caso) ennoblece a sus descendientes, que pasan a formar parte de las nobilitas.
Tre categorie si possono distinguere nella nobiltà del periodo repubblicano: 1. i patrizî di nascita; 2. i patrizî usciti dalla patria potestas per mezzo dell'emancipazione o passati alla plebe; 3. i plebei, di cui qualche antenato ha raggiunto il consolato, o, almeno, qualcuna delle cariche curuli. Non è da presumere che l'istituto della nobiltà e le sue conseguenze giuridiche fossero regolati con una legge organica: tuttavia possiamo riconoscere che prerogative di essa furono il diritto di esporre nell'atrio della casa le immagini degli antenati pervenuti alle cariche curuli, l'adozione di un cognome ereditario, e il riconoscimento, non diremo della capacità alle cariche curuli e ai sacerdozî, ma della legittimità dell'aspirarvi, in vista della carriera degli antenati. Il quale enunciato s'intenderà meglio quando si pensi che, nonostante la parità teoretica del diritto elettorale attivo e passivo di tutti i cittadini, la nobiltà repubblicana, come tutte le aristocrazie, cercò di rimanere quanto più possibile chiusa in sé stessa, e di escludere dalla direzione dello stato chi le fosse estraneo, più o meno osteggiando l'accettazione di nuovi elementi, ma una volta costretta ad accettarli, sospese l'opposizione, e ne trattò i discendenti alla pari.

Prevalse però sempre la tendenza esclusivista e si andò via via compiendo la trasformazione dell'aristocrazia in oligarchia. Delle 29 famiglie plebee che rivestirono il consolato tra il 340 e il 264 a. C., ben 24 raggiunsero la carica in quest'epoca per la prima volta, e invece i gentilizî nuovi che compaiono nei fasti consolari tra la prima e la seconda guerra punica sono appena undici; 16 quelli che vi appaiono tra il 200 e il 146, e di questi soltanto quattro sono di uomini esplicitamente detti nuovi. E mentre i ricambî nell'aristocrazia erano di tanto ostacolati, cresceva sempre più nel seno di essa la potenza di alcune famiglie e nelle mani di queste si andava concentrando ogni pubblico potere. Se nella prima delle epoche che abbiamo sopra definite vediamo 43 consolati in mano di sole 15 famiglie plebee, nei cento anni che precedettero il tribunato di Tiberio Gracco 159 posti consolari su 200 toccano a 26 casate nobili, patrizie o plebee, e tra questi 99 a 10 soltanto.

La degenerazione dell'aristocrazia in oligarchia fu una delle cause principali della caduta della repubblica e dell'avvento del principato. Con Augusto l'eleggibilità di tutti i cittadini venne soppressa e fu determinato giuridicamente il privilegio, che già effettivamente si era costituito, della nobiltà alle nomine magistraturali e al seggio in senato con esse congiunto, in quanto che fu stabilito in un milione di sesterzî il censo minimo per appartenere alla classe, che poteva aspirarvi, cioè all'ordine senatorio. Da esso sarebbero dovuti essere esclusi quei membri della nobiltà repubblicana, che non possedessero questo censo, ma le più scandalose, almeno, delle esclusioni furono evitate col soccorso dell'imperatore al censo di qualche pericolante. All'ordine senatorio nel periodo imperiale appartennero pertanto insieme con i senatori le loro consorti e i discendenti agnatizî sino al terzo grado, ma, indipendentemente dalla nascita, vi si poteva essere ammessi con due forme diverse: il conferimento imperiale del laticlavio, quando si trattava di giovani che avessero tutti i requisiti per entrare nella carriera senatoria e percorrerla dai primi gradini, e l'aggregazione (v. adlectio) a una delle categorie in cui erano distinti i senatori, quando si trattava di persone, cui per la loro età e la loro condizione non si potesse applicare l'altra forma.
Se pueden distinguir tres categorías en la nobleza del período republicano: 1. los patricios de nacimiento; 2. la patria que dejó la patria potestas mediante la emancipación o pasó a la plebe; 3. los plebeyos, algunos de cuyos antepasados ​​llegaron al consulado, o al menos a algunas de las oficinas de Curuli. No se puede suponer que la institución de la nobleza y sus consecuencias jurídicas estuvieran reguladas por una ley orgánica: sin embargo podemos reconocer que sus prerrogativas eran el derecho a exhibir en el atrio de la casa las imágenes de los antepasados ​​que llegaban a las oficinas de Curuli, la adopción de un apellido hereditario, y reconocimiento, no hablaremos de la capacidad para los oficios y sacerdocios de Curuli, sino de la legitimidad de aspirar a él, en vista de la carrera de los antepasados. Esta afirmación se entenderá mejor cuando pensemos que, a pesar de la paridad teórica del derecho electoral activo y pasivo de todos los ciudadanos, la nobleza republicana, como todas las aristocracias, intentó permanecer encerrada en sí misma en la medida de lo posible y excluir de la dirección del Estado que le era ajeno, más o menos oponiéndose a la aceptación de nuevos elementos, pero una vez obligado a aceptarlos, suspendió la oposición y trató a sus descendientes como iguales.

Sin embargo, siempre prevaleció la tendencia exclusivista y paulatinamente se completó la transformación de la aristocracia en oligarquía. De las 29 familias plebeyas que cubrieron el consulado entre 340 y 264 a. C., hasta 24 llegaron al poder en este período por primera vez, y en cambio las nuevas gentilizaciones que aparecen en el esplendor consular entre la primera y la segunda guerras púnicas son apenas once; 16 los que aparecen allí entre 200 y 146, y de estos solo cuatro son llamados explícitamente nuevos por los hombres. Y mientras las recompensas en la aristocracia estaban tan obstaculizadas, el poder de algunas familias crecía cada vez más en el seno de ella y todo el poder público se concentraba en sus manos. Si en la primera de las épocas que hemos definido anteriormente vemos 43 consulados en manos de solo 15 familias plebeyas, en los cien años anteriores al tribuno de Tiberio Graco, 159 oficinas consulares de 200 pertenecen a 26 familias nobles, patricias o plebeyas, y entre estas 99 un 10 solamente.

La degeneración de la aristocracia en oligarquía fue una de las principales causas de la caída de la república y el advenimiento del principado. Con Augusto se suprimió la elegibilidad de todos los ciudadanos y se determinó legalmente el privilegio, ya efectivamente constituido, de la nobleza a los nombramientos magistrales y al escaño en el senado conjunto con ellos, pues se estableció en un millón de sesterzî la renta mínima para pertenecer a la clase que pudiera aspirar a ella, es decir, a la orden senatorial. Aquellos miembros de la nobleza republicana que no poseían esta riqueza deberían haber sido excluidos de ella, pero la más escandalosa, al menos, de las exclusiones se evitó con la ayuda del emperador a expensas de alguna persona peligrosa. Por lo tanto, junto con los senadores, sus cónyuges y descendientes agnatizî hasta el tercer grado pertenecían a la orden senatorial, pero, independientemente de su nacimiento, podían ser admitidos con dos formas diferentes: la concesión imperial del laticlaviano, cuando se trataba jóvenes que tuvieran todos los requisitos para ingresar a la carrera senatorial y seguirla desde los primeros pasos, y agregación (ver adlectio) a una de las categorías en las que se distinguían los senadores, en cuanto a personas, que por su edad y su condición no podía aplicar la otra forma.
L'ereditarietà dell'ordine era sempre rigorosamente subordinata al mantenimento del censo, che non era poi cosa facile, quando si pensi che i senatori non potevano né dedicarsi al commercio, né fare parte di società finanziarie. Vuoti quindi se ne facevano di continuo, ma erano suppliti a usura dalle nuove inclusioni, per le quali il governo incanalava nella carriera magistraturale, con fine ben calcolato, sempre nuove reclute, tratte dalle più importanti e cospicue famiglie dell'ordine equestre, di guisa che il privilegio giuridico delle antiche famiglie senatorie alle magistrature fu effettivamente sopraffatto dall'affluire delle nuove nomine, e la nobiltà repubblicana, col suo ius imaginum, si poté conservare sino alla dinastia Giulio-Claudia. In seguito le sue famiglie rapidamente si estinsero o andarono disperse, per cedere il posto alla nuova nobiltà imperiale, che rimase per molto tempo ancora distinta dall'altra classe dell'aristocrazia, costituita dall'ordine equestre; ma quell'acuto contrasto tra i due ordini, che aveva contraddistinto l'agonia della repubblica, si andò via via componendo, e il passaggio dall'ordine inferiore al superiore avvenne sempre più frequentemente.

Gli appartenenti all'ordine senatorio, anche se non senatori, ebbero diritto alle insegne e alla titolatura senatoria, facoltà d'intervenire alle sedute del senato ed esenzione dagli oneri municipali, ma dovettero sottostare ad alcune limitazioni del diritto di proprietà e di quello matrimoniale.

Da Costantino in poi l'ordine equestre scomparve, assorbito omiai quasi completamente da quello senatorio, e tra i clarissimi, che già dal sec. II era il titolo caratteristico di esso, sorsero due nuove categorie gerarchiche: gli spectabiles e gli inlustres, titoli riservati ai gradini superiori della carriera, non subordinati a censo, ma attribuiti alla funzione. Si riconquistava così uno dei caratteri dell'ordinamento nobiliare dell'epoca repubblicana: era chiuso per la nobiltà tutto un ciclo di sviluppo, e ne incominciava un altro, che si doveva poi arrestare per le invasioni barbariche.

La herencia de la orden siempre estuvo estrictamente subordinada al mantenimiento del censo, lo cual no fue cosa fácil, cuando se piensa que los senadores no podían ni dedicarse al comercio ni formar parte de empresas financieras. Por lo tanto, se vaciaron continuamente, pero se compensaron por la usura con las nuevas inclusiones, para lo cual el gobierno encauzó hacia la carrera magistral, con una meta bien calculada, siempre nuevos reclutas, provenientes de las familias más importantes y conspicuas del orden ecuestre, que el privilegio jurídico de las antiguas familias senatoriales al poder judicial se vio efectivamente superado por la afluencia de nuevos nombramientos, y que la nobleza republicana, con su ius imaginum, pudo conservarse hasta la dinastía julio-claudia. Posteriormente sus familias se extinguieron rápidamente o se dispersaron, para dar paso a la nueva nobleza imperial, que se mantuvo durante mucho tiempo todavía distinta de la otra clase de la aristocracia, constituida por el orden ecuestre; pero ese agudo contraste entre los dos órdenes, que había caracterizado la agonía de la república, poco a poco se fue componiendo, y el paso del orden inferior al superior se hacía cada vez más frecuente.

Los miembros de la orden senatorial, aunque no fueran senadores, tenían derecho a la insignia y el título senatorial, derecho a asistir a las sesiones del Senado y exención de cargos municipales, pero debían someterse a algunas limitaciones del derecho de propiedad y del matrimonio.

A partir de Constantino desapareció el orden ecuestre, absorbido casi por completo por el senatorial, y entre los Clarissimi, que ya desde el siglo. II fue el título característico de la misma, surgieron dos nuevas categorías jerárquicas: los espectaculares y los inlustres, títulos reservados para los escalones superiores de la carrera, no subordinados a la riqueza, sino atribuidos a la función. De esta forma se reconquista una de las características de la orden noble de la época republicana: se cierra todo un ciclo de desarrollo para la nobleza, y se inicia otro, que luego será detenido por las invasiones bárbaras.
Il disinteresse che le famiglie dell'ordo senatorius mostravano ormai per le cariche pubbliche produsse anche il distacco fra quel ceto e i funzionarî dello stato, i quali venivano scelti dall'imperatore secondo suoi criterî ed esigenze. Sotto Costantino, il quale riformò a fondo gli ordinamenti amministrativi, questa scelta, per i funzionarî più alti, è fatta di preferenza fra i comites, che godevano la particolare fiducia e intimità del sovrano e per questo avevano ottenuto tale titolo d'onore. Essi erano, da principio, quelli che accompagnavano e coadiuvavano i magistrati romani nelle provincie. Anche gl'imperatori li ebbero, in occasione di lontani viaggi e spedizioni guerresche: donde forse il carattere militare che assunse questa dignità. Con il rafforzarsi dell'autorità imperiale è naturale che il sovrano preferisse scegliersi i funzionari proprio fra queste persone anche in omaggio al principio che tutti gl'impiegati dello stato sono di nomina sovrana. La dignità e il titolo di comites, generalizzatisi nel basso impero, sono forse la prima dignità e titolo che appaiono nel periodo dei dominî barbarici. Al tempo della dominazione gotica i comites di molte città, come ad esempio di Siracusa e di Napoli, avevano certamente un posto eminente. Il primo esercitava ampia giurisdizione su tutta la Sicilia, con la qualifica di vir sublimis. Con i Bizantini, salirono in alto i comites rei militaris e i duces, destinati a reggere quelle provincie in cui lo stato di guerra consigliava di attribuire la massima autorità al comandante militare. In Italia dove l'impero bizantino dovette sostenere una lunga lotta coi Goti e poi con i Longobardi, furono posti duces a capo di quasi tutte le regioni, come l'Istria, il Veneto, la Pentapoli, Roma, Napoli, la Liguria, e più tardi Ferrara, Perugia e la Calabria. Essi sono spesso indicati anche con il solo titolo di patricius; titolo assai elevato e perciò attribuito ai più alti funzionarî dello stato, come i duchi, l'esarca, gli strateghi di Sicilia e di Longobardia. E poi in Italia, al primitivo senso di pura dignità il titolo di patricius aggiunse anche il concetto di un ufficio eminente, connesso con quello: per modo che, quando i papi concessero ai re franchi il titolo di patricius Romanorum, intesero conferire loro non solo una dignità, ma anche reali funzioni di protezione su Roma e la Chiesa.

Così, fra l'inizio dell'impero e la dominazione bizantina, si ebbero profonde trasformazioni della nobiltà romana. Scaduto il senato dall'altezza delle sue funzioni di assemblea generale dell'impero; non più osservata la regola che gli alti funzionarî si dovessero scegliere dall'ordine senatoriale, e generalizzato invece il principio della piena libertà di scelta del sovrano; cresciuta, sotto l'influenza delle turbolente condizioni dello stato, l'importanza degli ufficiali militari (comites rei militaris, duces); attribuito al titolo di patrizio un valore più alto, ma non in connessione con quello che aveva avuto in origine; la nobiltà romana, cioè quella che si onorava di appartenere all'ordo senatorius, si dissociò completamente dall'esercizio degli uffici. Il favore del sovrano seguitò tuttavia a manifestarsi con la distribuzione di uffici onorarî. E restarono così, quantunque diminuiti d'importanza, ma concessi a vita e poi a poco a poco divenuti ereditarî, gli antichi titoli delle magistrature civili: più elevato di tutti quello di consul. E pare che con l'andare del tempo, non soltanto si siano distribuiti titoli onorifici delle antiche magistrature, ma anche delle nuove e più elevate, cioè di quella di duca: ciò che serve a spiegare la frequenza di questo titolo a cominciare dal sec. VIII, specialmente nei documenti ravennati.
El desinterés que ahora mostraban las familias del ordo senatorius por los cargos públicos produjo también el desapego entre esa clase y los funcionarios estatales, que eran elegidos por el emperador según sus criterios y necesidades. Bajo Constantino, quien reformó a fondo los sistemas administrativos, esta elección, para los más altos funcionarios, se hizo de preferencia entre los comités, quienes gozaron de la particular confianza e intimidad del soberano y por esta razón habían obtenido este título de honor. Fueron, al principio, quienes acompañaron y asistieron a los magistrados romanos en las provincias. Incluso los emperadores los tuvieron, con motivo de viajes lejanos y expediciones bélicas: de ahí quizás el carácter militar que asumió esta dignidad. Con el fortalecimiento de la autoridad imperial, es natural que el soberano prefiriera elegir a sus propios funcionarios entre este pueblo, también en homenaje al principio de que todos los empleados del estado son designados soberanos. La dignidad y el título de los comités, generalizados en el bajo imperio, son quizás la primera dignidad y título que aparece en el período de los dominios bárbaros. En la época de la dominación gótica, los comités de muchas ciudades, como Siracusa y Nápoles, tenían ciertamente un lugar eminente. El primero ejercía una amplia jurisdicción sobre toda Sicilia, con la calificación de vir sublimis. Con los bizantinos, los comites rei militaris y los duces subieron a lo más alto, destinados a gobernar aquellas provincias en las que el estado de guerra recomendaba atribuir la máxima autoridad al comandante militar. En Italia, donde el Imperio bizantino tuvo que soportar una larga lucha con los godos y luego con los lombardos, los duces se colocaron a la cabeza de casi todas las regiones, como Istria, Veneto, Pentápolis, Roma, Nápoles, Liguria y más tarde Ferrara, Perugia y Calabria. A menudo se les llama patricius solos; título muy alto y, por tanto, atribuido a los más altos funcionarios del estado, como los duques, el exarca, los estrategas de Sicilia y Longobardia. Y luego en Italia, al sentido primitivo de pura dignidad, el título de patricius también agregó el concepto de un cargo eminente, relacionado con eso: de modo que, cuando los papas otorgaron a los reyes francos el título de patricius Romanorum, tenían la intención de conferirles no solo una dignidad, pero también funciones protectoras reales sobre Roma y la Iglesia.

Así, entre el comienzo del imperio y la dominación bizantina, hubo profundas transformaciones de la nobleza romana. El senado expiró desde el apogeo de sus funciones como asamblea general del imperio; dejó de observarse la regla de elección de los altos funcionarios del orden senatorial y se generalizó el principio de la plena libertad de elección del soberano; la importancia de los oficiales militares (comites rei militaris, duces) aumentó bajo la influencia de las turbulentas condiciones del estado; atribuyó un valor superior al título de patricio, pero no en relación con lo que había tenido originalmente; la nobleza romana, es decir, los que se honraban con pertenecer al ordo senatorius, se desvinculaban por completo del ejercicio de sus cargos. Sin embargo, el favor del soberano siguió manifestándose con la distribución de cargos honoríficos. Y así quedaron, aunque disminuidos en importancia, pero concedidos de por vida y luego gradualmente se convirtieron en herencia, los antiguos títulos de la magistratura civil: superiores a todos los de cónsul. Y parece que con el paso del tiempo no solo se han repartido títulos honoríficos de las antiguas magistraturas, sino también de las nuevas y superiores, el de duque: lo que sirve para explicar la frecuencia de este título a partir del siglo. VIII, especialmente en los documentos de Ravenna.
 La nobiltà nel Medioevo e nell'età moderna. 

- La nobiltà medievale si riannoda per le sue origini a quella romana, con la sostituzione di elementi germanici ai romani nei paesi occupati dai Longobardi. Anche sotto questi, e poi sotto i Franchi, ogni dignità derivava dalle funzioni pubbliche e dalla partecipazione alla vita dello stato. Nel regime di accentramento che lo stato medievale aveva ereditato da Roma e che si mantenne fino ai tempi degli Ottoni, il primo posto era tenuto dai funzionari di corte (ministri aulici o palatini), costituenti, con altre persone di fiducia, il consiglio del re (consiliarii aulici). Alla loro testa, era, nei tempi franchi, il comes palatii (l'antico maiordomus, in germanico stolezais, rivestito di nome e di qualifica romana [inluster comes] e di funzioni direttive del governo sotto il controllo del re), e il camerarius (l'antico vestararius regis, in germanico duddus, detto anche thesaurarius, capo dell'amministrazione finanziaria centrale e del tesoro regio). Il primo era assistito dai iudices e dai notarii sacri palatii, da esso creati; il secondo aveva alle sue dipendenze, oltre ai funzionarî centrali, anche i gastaldi detti poi vicecomites, che nelle varie città del regno e relativo territorio amministravano il patrimonio regio e le riscossioni fatte nell'interesse della regia camera. L'Italia ebbe queste cariche di palazzo distinte da quelle dell'impero dopo la costituzione del regno italico nell'825.

Nel territorio del regno, dato il carattere prevalentemente militare dello stato, i posti più elevati fra i funzionarî sotto i Longobardi erano tenuti dai duchi, che riunivano il governo militare e civile di intere regioni; poi, sotto i Franchi, dai conti, con uguali funzioni, e dai conti di confine o di marca, cioè marchesi. Sotto di essi, i capitani; e sotto i capitani, gli arimanni cioè gli uomini liberi che dovevano prestare servizio militare col cavallo. Queste cariche, venivano distribuite, le più alte, direttamente dal sovrano ai suoi fedeli, stretti intorno a lui col vincolo speciale del giuramento, i quali molto spesso convivevano con lui e ne formavano il seguito, detti antrustiones sotto i Merovingi (da trustis, seguito), gasindî o fideles sotto i Longobardi, vassi o vassalli sotto i Franchi (dal celtico gwas, gwasavl, che originariamente significava "servo"); le altre cariche dai duchi e poi dai conti e dai marchesi, similmente fra i proprî fedeli, i quali alla loro volta assegnavano ai rispettivi fedeli altre cariche minori, per modo che tutte le cariche dello stato dalle più alte alle più basse emanavano o direttamente o indirettamente dalla persona del sovrano, che continuava a essere l'unica fonte di autorità. A tutti questi funzionarî si assegnavano terre, come corrispettivo del servizio. Le prime assegnazioni del genere rimontano ai Merovingi, ma ebbero più largo sviluppo sotto Carlo Martello, il quale, con le terre ricavate da larghe confische di patrimonî delle chiese, volle fornire ai suoi fedeli i mezzi sufficienti per il servizio a cavallo; dopo, le concessioni di terre, o benefici, a quelli che erano investiti di cariche pubbliche divennero cosa abituale e si accompagnarono col giuramento di fedeltà e di omaggio che l'investito (vassus, vassallus, valvassor e talora hom0, puer, famulus) prestava al suo signore, il quale lo prendeva sotto la sua protezione, che dicevasi commendatio in vassaticum.
La nobleza en la Edad Media y en la Edad Moderna.

 - La nobleza medieval reconecta sus orígenes con los romanos, con la sustitución de elementos germánicos por los romanos en los países ocupados por los lombardos. Incluso bajo estos, y luego bajo los francos, toda dignidad derivaba de las funciones públicas y la participación en la vida del estado. En el régimen de centralización que el Estado medieval había heredado de Roma y que se mantuvo hasta la época de los Ottoni, el primer lugar lo ocupaban los funcionarios de la corte (ministros cortesanos o palatinos), constituyendo, con otras personas de confianza, el consejo del rey. (consejos cortesanos). A la cabeza, en la época de los francos, estaba el comes palatii (el antiguo maiordomus, en germánico stolezais, cubierto con un nombre y calificación romanos [inluster comes] y con funciones directivas del gobierno bajo el control del rey), y el camerarius (el antiguo registro de vestararius, en duddus germánico, también llamado thesaurarius, jefe de la administración financiera central y del tesoro real). El primero fue asistido por los jueces y por el notarii sacri palatii, creado por él; el segundo tenía bajo su mando, además de los funcionarios centrales, también los gastaldis posteriormente llamados vicecomites, quienes en las diversas ciudades del reino y territorio relacionado administraban el patrimonio real y las colecciones hechas en interés de la cámara real. Italia tenía estas oficinas palaciegas distintas de las del imperio después de la constitución del reino itálico en 825.

En el territorio del reino, dado el carácter predominantemente militar del estado, los cargos más altos entre los funcionarios de los lombardos los ocupaban los duques, que unían el gobierno militar y civil de regiones enteras; luego, bajo los francos, por los condes, con las mismas funciones, y por las cuentas fronterizas o de marca, es decir, los marqueses. Debajo de ellos, los capitanes; y bajo los capitanes, los Arimanni, es decir, los hombres libres que debían hacer el servicio militar con caballos. Estos oficios fueron distribuidos, el más alto, directamente por el soberano a sus fieles, cerca de él con el vínculo especial del juramento, que muy a menudo convivía con él y formaba su séquito, llamado antrustiones bajo los merovingios (de trustis, seguido ), gasindî o fideles bajo los lombardos, vasallos o vasallos bajo los francos (del celta gwas, gwasavl, que originalmente significaba "sirviente"); los demás oficios por los duques y luego por los condes y marqueses, igualmente entre sus fieles, quienes a su vez asignaron otros oficios menores a sus respectivos fieles, de modo que todos los oficios del Estado desde el más alto hasta el más bajo emanaran directamente o indirectamente de la persona del soberano, que seguía siendo la única fuente de autoridad. A todos estos funcionarios se les asignó un terreno como contraprestación por el servicio. Las primeras asignaciones de este tipo se remontan a los merovingios, pero se desarrollaron más ampliamente bajo Carlo Martello, quien, con las tierras obtenidas de las grandes confiscaciones de los bienes de las iglesias, quiso proporcionar a sus fieles medios suficientes para el servicio a caballo; posteriormente, las concesiones de tierras, o beneficios, a quienes estaban investidos de cargos públicos se convirtieron en algo habitual y fueron acompañadas del juramento de lealtad y homenaje que prestaba el inversionista (vassus, vassallus, valvassor y en ocasiones hom, puer, famulus) a su señor, quien lo tomó bajo su protección, que se decía que era commendatio in vassaticum.
Qualche volta si concessero ai vassalli del re, oppure a chiese e monasteri, le corti regie insieme con le loro pertinenze, e qualche volta i diritti spettanti alla camera regia su parti del territorio soggetto alla giurisdizione del conte. Così passarono nei concessionarî molti di quei diritti che esercitava il gastaldo in nome del sovrano: e ne venne il feudo, sempre più fiorente durante il sec. X. Al tempo degli Ottoni il vescovo fu solitamente investito dei poteri comitali; dove ciò non avvenne, come a Milano, ne esercitò egualmente le regalie come messo regio, pur rimanendo accanto a lui il conte col diritto alla riscossione del fodro e dell'arimannia e alla giurisdizione volontaria; nell'un caso e nell'altro passarono nelle mani del vescovo i poteri che il visconte esercitava sulla curtis regia della città, nelle varie corti regie e nel territorio della campagna, e il visconte divenne un vassallo del vescovo. Allora le grandi famiglie dalle quali erano usciti marchesi e conti con ampie giurisdizioni su grandi parti del territorio dello stato, ritennero le corti regie che a quelli erano state assegnate in vassallatico, continuando nell'ambito di quelle corti a esercitare quella parte dei diritti sovrani che erano stati di spettanza del gastaldo regio. Questa, p. es., è la natura e l'origine delle vaste e numerose zone giurisdizionali della grande famiglia Obertenga nelle sue varie diramazioni. Poi avvenne che i vescovi ai loro vassalli, che erano anche i dignitarî della loro corte, rivestiti delle più alte cariche militari e civili, e perciò i maggiori cittadini, cominciarono a distribuire i diritti vicecomitali in città e fuori, sia affidando loro uffici dapprima di pertinenza del visconte, sia investendoli di nuove curtes costituite a somiglianza di quelle regie, sia anche, e fu il caso più frequente, attribuendo loro il dominatus di una pieve. Sorsero così i domini plebis detti nel Milanese capitanei perché scelti forse tra quelli che comandavano a una parte dell'esercito comitale, o che erano ad essi equiparati. L'attribuzione di particelle dell'autorità sovrana, date certamente non honoris causa, ma in compenso di prestazioni reali, rimase da allora costante nelle famiglie che ne avevano beneficiato: quindi è che da allora per la prima volta la nobiltà, la quale a eccezione dell'antichissimo patriziato romano, era stata o realmente o in modo fittizio connessa con la carica, divenne un fatto e un'istituzione di carattere ereditario. Queste famiglie nelle quali era passata attraverso le concessioni vescovili tutta l'autorità dei gastaldi regi, insieme coi rispettivi vescovi, che hanno le regalie, e prima fra esse l'heribannum, assommano ormai quasi tutti i poteri dello stato; ond'è che esse, direttamente interessate al governo e alla difesa del territorio soggetto alla giurisdizione del vescovo, sono rappresentate durante il sec. XI nel suo consiglio, quel consiglio che è il primo nucleo dal quale si svilupperà nello stesso secolo il comune.

Il dominatus plebis, di cui godevano i capitanei, consisteva nell'esercitare, come gl'investiti di curtes, il dominatus loci nelle singole vicinie della pieve, che si risolveva nel diritto d'investire della carica qualunque ufficiale della vicinia, di avere una quota fissa nelle alienazioni dei viganali o terre comuni, di percepire una parte delle compositiones e dei banna comminati per le infrazioni alle convenentiae fra i vicini, si risolveva cioè in limitati poteri di sovranità, con esclusione del merum et mixtum imperium, che rimaneva ai vassalli diretti dell'imperatore. Il possesso di questi diritti, che prendevano il nome di honor et districtus, fu presto oggetto di vendite, di scambî e di transazioni: spesso i domini plebis investirono i loro rispettivi vassalli, detti valvassori, del dominatus di una o più vicinie, spesso anche vennero a patti con gli uomini liberi (arimanni) proprietarî di terreni delle vicinie e attribuirono ad essi i diritti di dominatus. Hanno così origine quei molteplici nobili diffusi per ogni terra dell'Italia settentrionale, indicati coi nomi di arimanni, curtisii, gentiles, valvassores, domini, ecc., i quali o discendono dal dominus del rispettivo luogo, o dai gruppi familiari che in uno stesso luogo esercitarono collettivamente il dominatus. La classe dei valvassori, rappresentata largamente anche in città da quelle famiglie che avevano ottenuto il dominatus loci da un capitaneus, cominciò, come è noto, ad agitarsi per ottenere anche per sé l'ereditarietà del feudo, ciò che ottenne con la famosa Constitutio de feudis dell'anno 1037, e per essere rappresentata nel consiglio del vescovo al pari dei capitanei, ciò che pure ottenne verso la metà del sec. XI.

A veces, las cortes reales, junto con sus pertenencias, se concedían a los vasallos del rey, oa iglesias y monasterios, y a veces los derechos debidos a la cámara real sobre partes del territorio sometidas a la jurisdicción del conde. Tantos de esos derechos que ejercía el administrador en nombre del soberano pasaron a los concesionarios: y llegó el feudo, que fue cada vez más floreciente durante el siglo. X. En la época de los Ottoni, el obispo solía estar investido de los poderes de los condes; donde esto no sucedía, como en Milán, ejercía igualmente sus dones de mensajero real, mientras el conde permanecía a su lado con derecho a cobrar el fodro y arimannia ya la jurisdicción voluntaria; en ambos casos, los poderes que el vizconde ejercía sobre la curtis regia de la ciudad, en las diversas cortes reales y en el campo, pasaban a manos del obispo, y el vizconde se convertía en vasallo del obispo. Entonces las grandes familias de las que habían surgido marqueses y condes con amplias jurisdicciones en gran parte del territorio estatal, conservaron las cortes reales que les habían sido asignadas como vasallos, continuando dentro de esas cortes ejerciendo esa parte de los derechos soberanos que les correspondía. habían pertenecido al mayordomo real. Esta p. por ejemplo, es la naturaleza y origen de las vastas y numerosas áreas jurisdiccionales de la gran familia Obertenga en sus diversas ramas. Entonces sucedió que los obispos a sus vasallos, que también eran los dignatarios de su corte, ocupaban los más altos cargos militares y civiles, y por lo tanto los ciudadanos mayores, comenzaron a repartir los derechos vicemunicipales en la ciudad y fuera de la ciudad, confiándoles ambos cargos primero de pertinencia del vizconde, revistiéndoles tanto de nuevas cortinas constituidas a semejanza de los reales, como también, y era el caso más frecuente, atribuyéndoles el dominatus de una iglesia parroquial. Surgieron así los dominios de la plebis llamada capitanals en la zona milanesa porque fueron elegidos quizás entre los que comandaban una parte del ejército del conde, o que eran equivalentes a ellos. La atribución de partículas de autoridad soberana, otorgada ciertamente no honoris causa, sino en compensación por servicios reales, se ha mantenido constante desde entonces en las familias que se habían beneficiado de ella: así es que desde entonces por primera vez la nobleza, que excepto del antiguo patriciado romano, había estado real o ficticiamente relacionado con el cargo, se convirtió en un hecho y una institución de carácter hereditario. Estas familias en las que toda la autoridad del royal gastaldi había pasado por las concesiones episcopales, junto con los respectivos obispos, que tienen los dones, y ante todo el heribannum, suman ahora casi todos los poderes del estado; de ahí que estén representados durante el siglo, directamente interesados ​​en el gobierno y defensa del territorio sometido a la jurisdicción del obispo. XI en su concejo, ese concejo que es el primer núcleo a partir del cual se desarrollará el municipio en el mismo siglo.

El dominatus plebis, que disfrutaban los capitanei, consistía en ejercitar, al igual que el invertido en cortes, el dominatus loci en los distintos barrios de la parroquia, lo que derivaba en el derecho de investir a cualquier funcionario del barrio en la oficina, para tener una participación. fijado en las enajenaciones de los municipios o ejidos, percibir una parte de las composiciones y banna impuestas por las infracciones de las convenciones entre los vecinos, es decir, resultó en poderes limitados de soberanía, con exclusión del merum et mixtum imperium, que quedó a los vasallos directos del emperador. La posesión de estos derechos, que tomó el nombre de honor et districtus, pronto fue objeto de ventas, intercambios y transacciones: a menudo los dominios de la plebis invirtieron a sus respectivos vasallos, llamados valvassori, con el dominatus de una o más vicinie, a menudo también llegaron a un acuerdo con los hombres libres (Arimanni) propietarios de tierras en el barrio y les atribuyeron los derechos de dominatus. Así se originan aquellos muchos nobles esparcidos por todas las tierras del norte de Italia, señalados con los nombres de arimanni, curtisii, gentiles, valvassores, domini, etc., que o bien descienden del dominus del lugar respectivo, o de grupos familiares que en el mismo lugar donde ejercían colectivamente el dominatus. La clase de los valvassori, también ampliamente representada en la ciudad por aquellas familias que habían obtenido el dominatus loci de un capitaneus, comenzó, como se sabe, a agitar para obtener para sí la herencia del feudo, que obtuvo con la famosa Constitutio de feudis del año 1037, y estar representado en el consejo del obispo como el capitanei, que también obtuvo hacia mediados de siglo. XI.
Così tutta la nobiltà medievale ebbe il suo fondamento nell'esercizio di una parte più o meno grande dell'autorità sovrana nel territorio dello stato; dai grandi signori che ebbero il merum et mixtum imperium nei loro dominî, costituiti in altrettanti stati quasi indipendenti dall'imperatore o dal re, giù giù fino ai nobiles di un locus che riconoscevano i loro diritti o dal vescovo o da un dominus plebis, tutti erano signori che derivavano i loro rispettivi poteri o immediatamente o mediatamente dal sovrano. Sennonché il principio dell'ereditarietà fece sì che fossero considerati nobili non soltanto quelli che esercitavano effettivamente un diritto giurisdizionale, ma anche quelli che appartenevano a famiglie che l'avevano esercitato e poi alienato ad altre famiglie signorili o estinto per convenzioni con i rustici del luogo. In altre parole la nobiltà si distaccò dall'esercizio delle funzioni giurisdizionali e divenne una prerogativa agnatizia, divenne nobiltà di sangue, che conservò i titoli di marchio, di comes, di dominus anche dopo la cessazione delle rispettive funzioni.

I discendenti delle famiglie signorili in alcuni territorî delle campagne, se non intervennero altri fattori a modificare le condizioni esistenti, fruirono fino sulle soglie dell'età moderna di una situazione privilegiata, Non soltanto essi continuarono in molti luoghi a formare comunità (comunitates nobilium) distinte da quelle dei rustici dei rispettivi luoghi, ma, dove ciò per diverse circostanze non avvenne, mantennero spesso anche il diritto di essere sottoposti agli oneri cittadini anziché ai tributi imposti dal comune rurale, e di non essere soggetti, neppure nel caso di infeudazione del luogo, al nuovo signore, ma di rispondere nel civile e nel penale al magistrato della città, cioè al maggior magistrato. Nelle città invece e nei borghi anche i nobili maggiori si confusero presto coi cives, cioè con gli abitanti della città che avevano in città o fuori possessi allodiali senza giurisdizione, e che a cominciare dalla metà del sec. XI, ottennero l'equiparazione con i nobili, sia nel diritto di partecipare al governo cittadino, sia nella ripartizione degli oneri. Nelle campagne i nobili si distinguono dai rustici perché continuano a essere detti domini; nelle città e nei borghi invece, dopo la fusione dei cives e dei burgenses, non vi è più distinzione fra gli elementi di origine signorile e gli altri; nelle città gli uni e gli altri costituiscono la nobiltà cittadina, il cui fondamento è l'esercizio della giurisdizione sovrana passata attraverso il vescovo agli organi della città: nei borghi invece, per la mancanza di quella giurisdizione, si determina il fenomeno inverso, per cui i nobili si confondono presto con gli altri abitanti e talora perdono perfino il ricordo della loro origine.
Así, toda la nobleza medieval tuvo su fundamento en el ejercicio de una parte más o menos grande de la autoridad soberana en el territorio del estado; desde los grandes señores que tenían el merum et mixtum imperium en sus dominios, constituidos en tantos estados casi independientes del emperador o del rey, hasta los nobles de un locus que reconocían sus derechos por el obispo o por un dominus plebis, todos eran señores que derivaban sus respectivos poderes, ya sea de forma inmediata o mediata, del soberano. Salvo que el principio de herencia significaba que no solo se consideraba nobles a quienes efectivamente ejercían un derecho jurisdiccional, sino también a quienes pertenecían a familias que lo habían ejercido y luego lo habían enajenado a otras familias nobles o extinguido por convenios con los rústicos del lugar. . En otras palabras, la nobleza rompió con el ejercicio de las funciones jurisdiccionales y pasó a ser una prerrogativa agnática, pasó a ser nobleza de sangre, que retuvo los títulos de marca, viene, dominus incluso después del cese de sus respectivas funciones.

Los descendientes de familias nobles en algunos territorios del campo, si no intervinieron otros factores para modificar las condiciones existentes, disfrutaron de una situación privilegiada hasta el umbral de la Edad Moderna, no solo continuaron en muchos lugares formando comunidades distintas (comunitates nobilium) de los de las cabañas de los respectivos lugares, pero, cuando esto no sucedió por diversas circunstancias, muchas veces también mantuvieron el derecho a ser sometidos a las cargas ciudadanas más que a los impuestos que impone el municipio rural, y a no estar sujetos, incluso en el caso de infeudación del lugar. , al nuevo señor, sino para responder en materia civil y penal al magistrado de la ciudad, es decir, al magistrado mayor. En las ciudades, en cambio, y en las aldeas, hasta los grandes nobles pronto se confundieron con los cives, es decir, con los habitantes de la ciudad que tenían posesiones alodiales sin jurisdicción dentro o fuera de la ciudad, y eso a partir de mediados de siglo. XI, obtuvieron la igualdad con los nobles, tanto en el derecho a participar en el gobierno de la ciudad, como en el reparto de cargas. En el campo los nobles se distinguen de las cabañas porque siguen llamándose dominios; en las ciudades y pueblos, en cambio, tras la fusión de los cives y los burgenses, ya no hay distinción entre elementos de origen noble y otros; en las ciudades ambos constituyen la nobleza de la ciudad, cuya base es el ejercicio de la jurisdicción soberana que pasa por el obispo a los órganos de la ciudad: en las aldeas, en cambio, por la falta de esa jurisdicción, se determina el fenómeno contrario, por lo que los nobles pronto se confunden con los demás habitantes ya veces incluso pierden el recuerdo de su origen.
A questa nobiltà feudale dei primi secoli, cioè dal sec. X al XIII, se ne sovrappose un'altra durante e dopo il periodo delle signorie. I principi, grandi vassalli dell'Impero, in virtù della loro qualità di vicarî imperiali, fino dal sec. XIV usarono costituire in feudo, come si diceva, nobile e gentile, alcune parti del territorio del loro stato, talora esigendo in compenso una somma che di solito si computava sul numero dei focolari esistenti nel territorio infeudato, talora mettendo all'asta e vendendo il feudo al migliore offerente. Il principe per altro riserbava per sé una certa parte di diritti sul territorio infeudato.

Questo sistema d'infeudare le terre dello stato a particolari, si diffuse talmente in tutte le parti d'Italia, ma specialmente nel Veneto, nella Lombardia, nel Piemonte e nel Napoletano, che la maggior parte dei comuni dipendeva da feudatarî; in Sardegna alla fine del sec. XVIII dipendevano dal principe solamente sette città e qualche villa. La successione nei feudi restò quasi dovunque regolata dalle disposizioni del diritto feudale che ammettevano a fruirne tutti i discendenti maschi legittimi e anche le femmine in difetto di maschi. In alcuni luoghi per altro, nell'Italia meridionale, per effetto della dominazione normanna, che introdusse il diritto franco, in Lombardia dai tempi della dominazione spagnola, fu limitata la successione ai maschi primogeniti. In caso di estinzione di linea, dove era stata introdotta la successione primogeniturale, succedevano nel feudo, nel Napoletano e in Sicilia, i discendenti dell'ultima femmina investita, e quando anche questi mancavano, potevano succedere nel Napoletano i collaterali fino al quarto grado, purché discendenti dal primo investito (successione napoletana), mentre in Sicilia potevano succedere solo il fratello del defunto e i figli di lui fino al trinipote, cioè sino al sesto grado, esclusa la successione retrograda (successione siciliana). Invece in Lombardia, le femmine non potevano trasmettere il feudo, il quale, dopo l'estinzione della linea primogenita, passava di diritto al primogenito della linea più vicina, discendente dal primo investito.

I possessori di feudi avevano di diritto nell'Italia settentrionale il titolo di dominus (ital. signore), e se la proprietà di un feudo era comune a parecchi individui dello stesso casato, il titolo di condominus. Nell'Italia meridionale invece prevale il titolo di barone. Però questi titoli vennero a poco a poco sostituiti da altri maggiori. Nell'Italia settentrionale si diffuse il sistema di elevare i feudi, anche di piccole terre, a contee e a marchesati e quindi di concedere agl'investiti i corrispondenti titoli di conti e di marchesi. L'uso, a cominciare dal sec. XIV, era talmente generale che, alle volte, i discendenti di antiche famiglie marchionali e comitali che possedevano da antico tempo in feudo un determinato luogo, furono ritenuti marchesi e conti di quel luogo, come avvenne, ad es., dei marchesi Cavalcabò che discendevano dagli Obertenghi marchesi d'Italia ed erano signori di Viadana e furono creduti erroneamente marchesi di Viadana, per modo che perduto nel 1415 il feudo, occupato da Gian Francesco Gonzaga, non furono più ritenuti e chiamati marchesi. Nell'Italia meridionale si fece anche di più, perché si annetterono spesso ai feudi i massimi titoli nobiliari di duca e di principe.

Accanto alla nobiltà feudale vecchia e nuova, che doveva la sua condizione all'esercizio remoto o attuale di diritti signorili, fiorì sino dal sec. XIV una nobiltà puramente onorifica concessa dai sovrani a persone che ne erano prive, e che avevano reso speciali servizî o ricoprivano certe cariche. Pare che l'uso di simili concessioni sia stato introdotto da Filippo l'Ardito di Francia nel 1271, ma si hanno esempî fino dai tempi di Federico II. Ne fecero larga distribuzione sia l'imperatore sia il pontefice e poi anche i re indipendenti e i principi soggetti all'impero, i conti palatini, la repubblica di Venezia e perfino le città minori. Queste concessioni erano in principio molto malviste dalla nobiltà feudale, come risulta dalla glossa del diritto feudale sassone nella quale si legge che se il re concede per favore la nobiltà a un rustico fa cosa contro giustizia.
A esta nobleza feudal de los primeros siglos, es decir del siglo. X al XIII, otro superpuesto durante y después del período de los señores. Los príncipes, grandes vasallos del Imperio, en virtud de su calidad de vicarios imperiales, desde el siglo. El XIV solía constituir como feudo, como decían, noble y manso, algunas partes del territorio de su estado, exigiendo a veces a cambio una suma que solía calcularse sobre el número de hogares existentes en el territorio del feudo, a veces subastando y vendiendo el pelea con el mejor postor. El príncipe, en cambio, se reservaba una parte de los derechos sobre el territorio del feudo.

Este sistema de disputar las tierras del estado hasta los detalles, se extendió tanto en todas partes de Italia, pero especialmente en las áreas de Veneto, Lombardía, Piamonte y Napolitana, que la mayoría de los municipios dependían de feudatarios; en Cerdeña a finales de siglo. XVIII dependía del príncipe sólo siete ciudades y algunas villas. La sucesión en los feudos permaneció en casi todas partes regida por las disposiciones de la ley feudal que permitía disfrutar de ella a todos los descendientes varones legítimos e incluso a las mujeres en ausencia de varones. En algunos lugares, sin embargo, en el sur de Italia, debido a la dominación normanda, que introdujo la ley franca, la sucesión se limitó a los primogénitos varones en Lombardía desde la época de la dominación española. En caso de extinción de la línea, donde se introdujo la sucesión primogenitural, los descendientes de la última hembra investida tuvieron lugar en el feudo, en el área napolitana y en Sicilia, y cuando estos también faltaran, las garantías hasta el cuarto grado podrían ocurrir en el área napolitana, siempre que fueran descendientes del primer investido (sucesión napolitana), mientras que en Sicilia solo el hermano del difunto y sus hijos podían suceder hasta el trinfeo, es decir, hasta el sexto grado, excluida la sucesión retrógrada (sucesión siciliana). En cambio, en Lombardía, las hembras no pudieron transmitir el feudo, que, tras la extinción de la línea primogénita, pasó por derecho al primogénito de la línea más cercana, descendiendo del primer investido.

Los propietarios de feudos en el norte de Italia tenían el título de dominus (itálica señor) por derecho, y si la propiedad de un feudo era común a varios individuos de la misma familia, el título de condominus. En el sur de Italia, en cambio, prevalece el título de barón. Pero estos títulos fueron reemplazados gradualmente por otros importantes. En el norte de Italia se extendió el sistema de elevar feudos, incluso de pequeñas tierras, a condados y marqueses, y luego otorgar a los inversores los correspondientes títulos de condes y marqueses. El uso, a partir del siglo. XIV, era tan general que, en ocasiones, los descendientes de antiguos marqueses y familias conyugales que habían poseído un determinado lugar en un feudo durante la antigüedad, fueron considerados marqueses y condes de ese lugar, como sucedió, por ejemplo, de los marqueses de Cavalcabò que descendieron por los marqueses de Obertenghi de Italia y eran señores de Viadana y se creía erróneamente que eran marqueses de Viadana, por lo que perdido en 1415 el feudo, ocupado por Gian Francesco Gonzaga, dejaron de ser considerados y llamados marqueses. En el sur de Italia se hizo aún más, porque los títulos nobiliarios más altos de duque y príncipe a menudo se anexaban a los feudos.

Junto a la antigua y nueva nobleza feudal, que debía su condición al ejercicio remoto o actual de los derechos nobiliarios, floreció a partir del siglo. XIV una nobleza puramente honorífica otorgada por los soberanos a personas que no los tenían y que habían prestado servicios especiales o ocupado ciertos cargos. Parece que Felipe el Temerario de Francia introdujo el uso de concesiones similares en 1271, pero hay ejemplos de la época de Federico II. Fue ampliamente distribuido tanto por el emperador como por el pontífice y luego también por los reyes y príncipes independientes sujetos al imperio, los condes palatinos, la república de Venecia e incluso las ciudades más pequeñas. Estas concesiones fueron en principio muy mal vistas por la nobleza feudal, como lo demuestra la glosa de la ley feudal sajona que establece que si el rey concede la nobleza a un rústico, está haciendo algo contra la justicia.


I titoli concessi in tal guisa dall'imperatore, cioè i titoli del Sacro Romano Impero, furono molto diffusi in Germania, ma furono frequenti anche in Italia, poiché i sudditi degli stati vassalli dell'impero erano sudditi anche dell'imperatore. Essi andavano da quello di nobile a quello di principe; a volte se ne concedeva più d'uno in uno stesso diploma, e a volte andavano uniti così pro forma a predicati di piccole borgate di territorî ereditarî della casa d'Asburgo. Avevano la trasmissibilità per maschi e femmine, ma non si trasmettevano ai discendenti delle femmine. In Germania, tutta questa nuova nobiltà senza feudo costituì la nobiltà bassa, guardata con disprezzo dalle classi più cospicue della nobiltà antica o alta, alla quqle appartenevano le famiglie soggette immediatamente all'imperatore, aventi signoria territoriale con seggio e voto nella dieta. Prevalse poi nel sec. XVII e nel seguente l'uso di fare concessioni di simili titoli non feudali anche a sudditi non proprî, come ad es., fecero largamente i duchi di Parma e Piacenza a sudditi dello stato di Milano e della repubblica di Venezia. Questa per altro sottopose alla sua approvazione l'uso dei titoli concessi da un sovrano straniero ai proprî sudditi, mentre le costituzioni dello stato di Milano, fatta eccezione per i titoli del Sacro Romano Impero, stabilivano che i titoli concessi da un principe straniero foasero trasmissibili solo per maschi primogeniti e che il concessionario dovesse acquistare un feudo dallo stato.

Non si ricollegano con la nobiltà feudale neppure in modo fittizio, come quella testé considerata che deriva da concessioni sovrane di titoli feudali senza feudi, le varie nobiltà cittadine. Tuttavia anch'esse hanno la loro origine dall'esercizio di diritti sovrani. C'è chi opina che queste abbiano il loro fondamento negli uffici della curia municipale romana, e che i nobili delle città siano i continuatori degli antichi curiali. Ma anche se i curiali si possono considerare nobili per l'ufficio, essi non hanno nulla di comune con i nobili della città. Si è già accennato al fatto che i diritti del vicecomes o gastaldo regio nella città e nel contado passarono al vescovo, il quale, come conte o come messo regio, deteneva anche le regalie. Dal vescovo i poteri passarono prima alle classi feudali della città e poi anche alla classe dei semplici cittadini non investiti di alcun feudo, ma possessori di beni allodiali, aventi casa in città e tenuti come i feudatarî al servizio delle armi. Così rispetto al governo della città e del suo territorio anche i semplici cittadini, essendo compartecipi del potere giurisdizionale esercitato dalla città, furono considerati alla stessa stregua dei nobili, con i quali avevano in comune la misura dei tributi. Pertanto erano tenuti e considerati essi pure nobili, tanto che negli statuti del sec. XIII sono usate indifferentemente le parole nobiles e cives, oppure la frase nobiles vel cives. Tutti i cittadini, feudatari o meno, costituivano la classe nobiliare della città. Il potere giurisdizionale dei cittadini si esercitò mediante i consigli e i consoli che per un certo tempo ne furono i rappresentanti. I consigli erano dapprima formati da un gran numero di membri che in alcuni casi si aggiravano intorno al migliaio, dopo a mano a mano il numero dei consiglieri diminuì fino a poche diecine scelti da un numero limitato di famiglie.


Los títulos otorgados de esta manera por el emperador, es decir, los títulos del Sacro Imperio Romano Germánico, estaban muy extendidos en Alemania, pero también eran frecuentes en Italia, ya que los súbditos de los estados vasallos del imperio también eran súbditos del emperador. Iban desde la de un noble hasta la de un príncipe; a veces se concedía a más de uno en el mismo diploma, y ​​en ocasiones se combinaban de manera tan pro forma con predicados de pequeñas aldeas de territorios heredados de la Casa de Habsburgo. Tenían transmisibilidad para machos y hembras, pero no se transmitían a los descendientes de hembras. En Alemania, toda esta nueva nobleza sin feudo constituía la baja nobleza, mirada con desprecio por las clases más conspicuas de la antigua o alta nobleza, a la que pertenecían las familias inmediatamente sujetas al emperador, que poseían señorío territorial con asiento y voto en la dieta. Luego prevaleció en el siglo. XVII y en lo sucesivo la costumbre de hacer concesiones de títulos no feudales similares también a súbditos que no son suyos, como por ejemplo, los duques de Parma y Piacenza hicieron en gran parte a súbditos del estado de Milán y de la república de Venecia. Este último, sin embargo, sometió a su aprobación el uso de títulos otorgados por un soberano extranjero a sus súbditos, mientras que las constituciones del estado de Milán, con la excepción de los títulos del Sacro Imperio Romano Germánico, establecían que los títulos otorgados por un príncipe extranjero eran transmisibles. sólo para los primogénitos varones y que el concesionario debe comprar un feudo del estado.

Las distintas noblezas de la ciudad no están ligadas a la nobleza feudal ni siquiera de forma ficticia, como la que acabamos de considerar que deriva de concesiones soberanas de títulos feudales sin feudos. Sin embargo, también ellos tienen su origen en el ejercicio de derechos soberanos. Hay quienes creen que estos tienen su base en las oficinas de la curia municipal romana, y que los nobles de las ciudades son los continuadores de los antiguos curiales. Pero incluso si los curiales pueden considerarse nobles para el cargo, no tienen nada en común con los nobles de la ciudad. Ya se ha mencionado que los derechos de los viceregresos o gastaldo regio en la ciudad y en el campo pasaron al obispo, quien, como conde o mensajero real, también ostentaba los obsequios. Desde el obispo, los poderes pasaron primero a las clases feudales de la ciudad y luego también a la clase de ciudadanos comunes no investidos de ningún feudo, sino poseedores de bienes alodiales, que tienen un hogar en la ciudad y se mantienen como feudales al servicio de las armas. Así, con respecto al gobierno de la ciudad y su territorio, incluso los ciudadanos comunes, compartiendo el poder jurisdiccional ejercido por la ciudad, eran considerados de la misma manera que los nobles, con quienes tenían en común la medida de los impuestos. Por lo tanto también fueron tenidos y considerados nobles, tanto es así que en los estatutos del siglo. XIII se utilizan indistintamente las palabras nobiles y cives, o la frase nobiles vel cives. Todos los ciudadanos, señores feudales o no, constituían la clase noble de la ciudad. El poder judicial de los ciudadanos se ejercía a través de los consejos y cónsules que durante un tiempo fueron sus representantes. Los consejos fueron formados primero por una gran cantidad de miembros que en algunos casos rondaban los mil, luego gradualmente el número de concejales disminuyó a unas pocas decenas elegidos por un número limitado de familias.


Le disposizioni che regolarono fino alla rivoluzione francese l'ammissione ai consigli nobili rimontano solitamente alla prima metà del secolo XVII. In alcune città, per entrare nel novero degli eleggibili a consiglieri, bastava provare di appartenere a famiglia antica e originaria della città, e di possedervi un immobile; in altri luoghi si richiedeva la prova di una nobiltà, come si diceva positiva, cioè l'appartenenza a una famiglia qualificata per nobile negli atti pubblici e vissuta per un lungo periodo di tempo more nobilium; la quale avesse avuto per lo stesso tempo stabile abitazione nella città. Più spesso però si formarono prima e poi elenchi chiusi di famiglie dalle quali soltanto si potevano scegliere i consiglieri. Queste famiglie erano dette solitamente patrizie, con un nome antico che anche nelle località della campagna dal sec. XV in poi si usò per indicare le famiglie oriunde del luogo; esse costituivano il patriziato cittadino; i consiglieri erano detti talora decurioni. Fra i patriziati più illustri è quello di Venezia, il cui Libro d'oro fu chiuso definitivamente sotto il doge Soranzo nel 1319, e non fu riaperto che assai raramente anche ai non nobili per meriti verso la patria, come nella guerra di Crimea e di Candia e negli ultimi tempi anche alla nobiltà di Terraferma. A Napoli i nobili che avevano il governo della città formavano delle consorterie che prendevano nome di seggi o sedili, dal luogo di comune convegno: erano 29, che a poco a poco per l'estinzione delle famiglie si ridussero solo a 5, pur rimanendo rappresentanti del numero primitivo di seggi: furono aboliti nel 1800.

Se la nobiltà cittadina, per le sue origini, ha solo un punto indiretto di contatto con quella feudale, come quella che esercitava le regalie e i diritti signorili sul territorio soggetto alla città, la nobiltà dei collegi dei giudici, dei fisici e dei notai, che s'incontra in molte città dell'Italia settentrionale deriva invece dalla nobiltà degli uffici del palazzo regio, in quanto il coprire quelle cariche alla corte del re era ritenuto ufficio nobile. Quando nel sec. XIII si formarono le corporazioni delle arti, anche i giudici, i fisici e i notai si riunirono in proprie corporazioni dette collegi e in omaggio alle tradizioni, che volevano quegli uffici affidati generalmente a nobili, si mise come condizione per essere ammesso ai varî collegi che il candidato dovesse essere di famiglia nobile: bastava dapprima l'appartenenza a una famiglia notoriamente e genericamente nobile, ma poi si volle la prova della nobiltà specifica della linea del candidato con la dimostraziong nei tempi più recenti che gli ascendenti di lui per uno spazio variabile da 120 a 200 anni erano vissuti nobilmente.

Las disposiciones que regulaban la admisión a los consejos nobles hasta la Revolución Francesa suelen remontarse a la primera mitad del siglo XVII. En algunas ciudades, para entrar en las filas de los elegibles para concejales, bastaba con demostrar que pertenecían a una antigua y original familia de la ciudad, y poseer allí una propiedad; en otros lugares se requería prueba de una nobleza, como se decía que era positiva, es decir, pertenecer a una familia calificada como noble en actos públicos y vivía durante un largo período de tiempo más nobilium; que había tenido una residencia permanente en la ciudad durante el mismo tiempo. Sin embargo, con mayor frecuencia, primero y luego se formaron listas cerradas de familias de las que sólo se podía elegir a los asesores. A estas familias se les suele llamar patricias, con un nombre antiguo que incluso en el campo desde el siglo. XV en adelante se utilizó para indicar las familias nativas del lugar; constituían el patriciado ciudadano; a los consejeros a veces se les llamaba decuriones. Entre los patricios más ilustres se encuentra el de Venecia, cuyo Libro de Oro fue definitivamente cerrado bajo el Doge Soranzo en 1319, y solo muy raramente fue reabierto incluso a los no nobles por méritos hacia su tierra natal, como en Crimea y Candia y en los últimos tiempos también a la nobleza del continente. En Nápoles los nobles que tenían el gobierno de la ciudad formaron facciones que tomaron el nombre de escaños o escaños, del lugar de reunión común: fueron 29, que gradualmente se redujeron a solo 5 debido a la extinción de familias, mientras que quedaron representantes el primitivo número de escaños: fueron abolidos en 1800.

Si la nobleza urbana, por sus orígenes, tiene sólo un punto de contacto indirecto con el feudal, como el que ejercía las regalías y derechos sobre el territorio sujeto a la ciudad, la nobleza de los colegios de jueces, físicos y notarios, que se encuentra en muchas ciudades del norte de Italia, por otro lado, se deriva de la nobleza de las oficinas del palacio real, ya que cubrir esas oficinas en la corte del rey se consideraba una oficina noble. Cuando en el siglo XIII se formaron los gremios de las artes, también los jueces, físicos y notarios reunidos en sus propios gremios llamados colegios y en homenaje a las tradiciones, quienes querían esos oficios generalmente encomendados a los nobles, se colocó como condición para ser admitido en los distintos colegios que el El candidato debía ser de una familia noble: al principio era suficiente con pertenecer a una familia notoria y genéricamente noble, pero luego querían una prueba de la nobleza específica de la línea del candidato con la demostración en tiempos más recientes de que sus antepasados ​​por un espacio variable de 120 a 200 años habían vivido noblemente.



Anche per i notai, per i quali non si richiesero vere e proprie prove di nobiltà, occorreva però dimostrare che il padre e l'avo non avevano esercitato arte vile. Chi non era di collegio non poteva dapprima esercitare, né essere chiamato a coprire posti elevati nell'amministrazione della città; ma ben presto per la necessità di provvedere a tutti i bisogni, si ammisero all'esercizio delle professioni nobili anche persone provviste bensì degli studî e dei titoli necessarî, ma di origine tutt'altro che nobile, o almeno di non provata nobiltà. Così per esempio, accanto ai giudici di collegio, per i quali si chiedevano le prove di nobiltà, c'erano molti altri giudici che esercitavano le loro mansioni all'infuori del collegio, e altrettanto si può dire per i fisici. Le famiglie vecchie sparivano e non erano forse rappresentate sempre dai migliori elementi, e allora era necessario provvedere all'infuori dei collegi nobili, pure lasciando a essi le prerogative e i privilegi proprî di ciascuno che ne limitavano l'ammissione tra i nobili. Naturalmente la nobiltà richiesta, non era né feudale, né civica, ma genericamente nobiltà, anche perché quella che derivava il suo titolo dal dominatus dell'epoca feudale si era confusa con quella che nell'epoca signorile aveva ottenuto i feudi di nuova creazione e con la nobiltà civica, né era possibile ormai fare distinzioni, senza dire che, perduta in molti casi la notizia delle origini, si erano mescolate con le nobili ed erano generalmente stimate e trattate per nobili molte famiglie che per le ricchezze e per il fasto vivevano alla maniera di quelle nobili. Doveva tuttavia essere una nobiltà antica, con esclusione quindi di tutti i nobili e titolati creati dal principe in epoca recente.

Anche la nobiltà che si richiedeva per l'ammissione a certi ordini equestri come il sovrano Militare Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme detto di Malta e l'Ordine di S. Stefano di Pisa non era se non nobiltà genericamente intesa, ma antica. Il primo dei detti ordini richiede anche oggi la prova della nobiltà bicentenaria dei quattro ordini, cioè delle famiglie dell'avo paterno, dell'ava paterna, dell'avo materno e dell'ava materna; quello di S. Stefano richiedeva la prova della nobiltà dei 32 quarti. Il nome stesso di ordine equestre, che è quanto dire associazione di cavalieri, cioè di persone tenute a servire il proprio principe nella milizia equestre, sta a indicare che esso non poteva essere costituito che da nobili, poiché solamente i nobili si onoravano di poter rendere quel servizio, e solamente essi presero parte alle crociate in Terrasanta, donde quelle associazioni traggono la loro origine. Ma poi, moltiplicatisi gli ordini equestri e divenuti nulla più che una distinzione onorifica, non si richiese più per la cooptazione dei membri la nobiltà del sangue, e nella maggior parte dei casi bastò appartenere a famiglia distinta. E neppure fu richiesta la nobiltà per gli ordini equestri istituiti od opportunamente adattati dai principi di tutti i paesi per favorire persone loro grate, o che si erano rese benemerite per servizî. L'appartenenza a tali ordini equestri conferiva all'insignito tutt'al più la nobiltà personale.

Incluso para los notarios, para quienes no se requería una prueba real de nobleza, sin embargo, era necesario demostrar que el padre y el abuelo no habían practicado un arte vil. Aquellos que no estaban en la universidad no pudieron al principio ejercer ni ser llamados a ocupar altos cargos en la administración de la ciudad; pero muy pronto, por la necesidad de cubrir todas las necesidades, incluso las personas con los estudios y calificaciones necesarios, pero de cualquier origen menos noble, o al menos de nobleza no probada, fueron admitidas en el ejercicio de las profesiones nobles. Así, por ejemplo, junto a los jueces universitarios, para quienes se buscaban pruebas de nobleza, había muchos otros jueces que ejercían sus funciones fuera del colegio, y lo mismo puede decirse de los físicos. Las antiguas familias desaparecieron y tal vez no siempre estuvieron representadas por los mejores elementos, por lo que fue necesario dotar al exterior de los colegios nobles, dejándoles las prerrogativas y privilegios propios de cada uno que limitaban la admisión entre los nobles. Naturalmente la nobleza requerida no era ni feudal ni cívica, sino genéricamente nobleza, también porque la que derivaba su título del dominatus de la época feudal se confundía con la que en la época noble había obtenido los feudos recién creados y con nobleza cívica, ni era posible ahora hacer distinciones, sin decir que, habiendo perdido en muchos casos la noticia de sus orígenes, se habían mezclado con los nobles y en general eran estimados y tratados por las familias nobles que vivían en el manera de los nobles. Sin embargo, debe haber sido una nobleza antigua, con la exclusión de todos los nobles y títulos creados por el príncipe en los últimos tiempos.

Incluso la nobleza que se requería para la admisión a ciertas órdenes ecuestres como la soberana Orden Militar de San Juan de Jerusalén llamada de Malta y la Orden de San Esteban de Pisa no solo se entendía genéricamente, sino nobleza antigua. La primera de las órdenes mencionadas también requiere hoy prueba de la nobleza bicentenaria de las cuatro órdenes, es decir, de las familias del antepasado paterno, el antepasado paterno, el antepasado materno y el antepasado materno; el de S. Stefano requería prueba de la nobleza de los 32 cuartos. El mismo nombre de la orden ecuestre, es decir una asociación de caballeros, es decir, de personas obligadas a servir a su príncipe en la milicia ecuestre, indica que solo podía estar constituida por nobles, ya que sólo los nobles tenían el honor de poder hacer ese servicio, y sólo ellos participaron en las cruzadas en Tierra Santa, de las que esas asociaciones tienen su origen. Pero luego, a medida que las órdenes ecuestres se multiplicaron y se convirtieron en nada más que una distinción honorífica, la nobleza de sangre dejó de ser necesaria para la cooptación de los miembros, y en la mayoría de los casos bastaba con pertenecer a una familia distinta. Tampoco se requería la nobleza para que las órdenes ecuestres establecidas o adaptadas convenientemente por los príncipes de todos los países favorecieran a las personas que les estaban agradecidas o que se habían hecho dignas de sus servicios. La pertenencia a estas órdenes ecuestres se otorga a la nobleza personal homenajeada.



Ma intanto il concetto romano che la nobiltà fosse radicata nell'elevatezza degli uffici coperti, non era mai caduto. E perciò l'avere coperto uffici eminenti fu sempre considerato come un indizio e una prova di nobiltà, sia perché solitamente venivano chiamati ad essi solo i nobili, sia anche perché l'averli coperti poteva generare di per sé la condizione nobile delle famiglie.

Un riflesso di ciò si ha nelle qualifiche d'onore con cui vengono distinte le persone di famiglia nobile. Quelle che ricoprono cariche, oppure che discendono da individui che ne ricoprirono, sono indicate secondo i tempi con le più ampollose qualifiche, le altre continuano a denominarsi, specie nelle campagne, dove più difficilmente si poteva essere prescelti ad alti uffici, con la semplice qualifica di dominus (ital.: sere [da senior], messere). In Toscana, dove al governo dei nobili era stato sostituito sino dalla fine del sec. XII quello del popolo e dove anche dopo il tardivo insediamento della signoria si rimase ligi a molte forme del governo popolare, il coprire le prime cariche cittadine era considerato agli effetti del riconoscimento della nobiltà, nella legge emanata da Francesco I il 31 luglio 1750, sul regolamento della nobiltà e cittadinanza, alla pari del possesso di feudi nobili, dell'ammissione agli ordini nobili e delle concessioni di nobiltà fatte dal principe. In Piemonte chi nasceva da padre e avo senatori, non doveva dare altra prova della sua nobiltà, l'essere senatore di Savoia radicava nobiltà; possedere il titolo di senatore importava nobiltà personale. A Milano la carica di senatore dava origine alla nobiltà ereditaria e, giusta la legislazione nobiliare dell'imperatrice Maria Teresa del 1769, le cariche di regio ministro presso gli uffici del senato, del Consiglio d'economia pubblica e del magistrato camerale radicavano la nobiltà della famiglia, qualora un figlio o un nipote del primo rivestito di tale carica ne fosse pure stato rivestito; per altre cariche di grado inferiore, come quelle degli avvocati o sindaci fiscali, dei regi capitani di giustizia, dei segretarî del governo e dei tribunali supremi, la nobiltà personale di cui godevano quelli che ne erano rivestiti si poteva trasformare in ereditaria se l'ufficio fosse continuato nella stessa famiglia per tre generazioni.

Ma in alcuni luoghi si poteva conseguire la nobiltà anche senza coprire alcun ufficio, come ad es. in Piemonte, dove, sotto Carlo Emanuele III, bastavano a tale scopo tre generazioni vissute nobilmente. Ciò che trova rispondenza nel diritto anglosassone, secondo il quale l'ignobile che avesse posseduto in proprio cinque mansi e avesse servito nella regia comitiva per tre generazioni acquistava la nobiltà.

A tutte queste svariatissime specie di nobiltà, in cui forse la minima parte derivava dal tronco genuino della feudalità dei secoli X e XI, e la restante doveva la sua aggregazione nel ceto nobile al favore del principe o ad altre circostanze, si aggiunse al principio del sec. XIX per volere di Napoleone una nobiltà nuova, dopo che la rivoluzione francese aveva abolito tutta la nobiltà e i suoi privilegi.

Questa nobiltà nuova napoleonica, istituita col VII statuto costituzionale sopra i titoli di nobiltà e dei maggioraschi del 21 settembre 1808, era strettamente connessa con le alte cariche dello stato: gli elettori che tre volte fossero stati presidenti dei collegi elettorali avevano diritto al titolo di duca; i grandi ufficiali della corona e del regno, i ministri, i senatori, i consiglieri di stato e gli arcivescovi avevano diritto al titolo di conte; i presidenti dei collegi elettorali del dipartimento, il primo presidente, procuratore generale della Corte di cassazione, i primi presidenti e procuratori generali delle Corti d'appello, i vescovi e i podestà delle città del regno avevano diritto al titolo di barone. La trasmissibilità dei titoli ai discendenti primogeniti e nel caso degli arcivescovi e vescovi al loro nipote primogenito o preferito, era subordinata all'istituzione di un maggiorasco di una rendita annua proporzionale al titolo. Simili titoli venivano poi concessi dall'imperatore, secondo che egli giudicava opportuno, ai generali, prefetti, ufficiali civili e militari e ad altri sudditi che si fossero distinti per servigi resi allo stato. I nobili napoleonici erano tenuti a non usare altri stemmi e a non avere altre livree se non quelli che erano enunciati nelle lettere patenti d'istituzione.
Pero mientras tanto, el concepto romano de que la nobleza estaba arraigada en la elevación de las oficinas cubiertas, nunca había caído. Y por ello haber cubierto cargos eminentes siempre se consideró como una pista y una prueba de nobleza, tanto porque habitualmente solo se llamaba a los nobles, como porque haberlos cubierto podía generar en sí mismo la condición noble de las familias.

Un reflejo de esto se encuentra en las calificaciones de honor con las que se distingue a las personas de familias nobles. Los que ocupan cargos, o que descienden de quienes los ocuparon, se señalan según los tiempos con las calificaciones más grandilocuentes, los demás continúan siendo nombrados, especialmente en el campo, donde era más difícil ser seleccionado para altos cargos, con la simple calificación. por dominus (ital.: sere [da senior], messere). En Toscana, donde el gobierno de los nobles había sido reemplazado hasta finales de siglo. XII la del pueblo y donde incluso después de la tardía liquidación del señorío permanecieron fieles a muchas formas de gobierno popular, se consideró la cobertura de las primeras oficinas de la ciudad a los efectos del reconocimiento de la nobleza, en la ley emitida por Francisco I el 31 de julio de 1750, de regulación de la nobleza y la ciudadanía, a la par con la posesión de feudos nobles, admisión a órdenes nobles y concesiones de nobleza hechas por el príncipe. En Piamonte que nació de padre y antepasado senadores, no tenía otra prueba de su nobleza, siendo senador de Saboya arraigada nobleza; poseer el título de senador significaba nobleza personal. En Milán, el cargo de senador dio lugar a la nobleza hereditaria y, de acuerdo con la noble legislación de la emperatriz María Teresa de 1769, los cargos de ministro real en las oficinas del senado, el consejo de economía pública y el magistrado de cámara arraigaron la nobleza de la familia, si también se hubiera ocupado un hijo o nieto del primero en ocupar dicho cargo; para otros cargos de rango inferior, como los de abogados o auditores fiscales, capitanes reales de justicia, secretarios de gobierno y cortes supremas, la nobleza personal de la que disfrutan quienes los tienen podría transformarse en herencia si el cargo continuó en la misma familia durante tres generaciones.

Pero en algunos lugares fue posible lograr la nobleza incluso sin cubrir ningún cargo, como por ejemplo. en Piamonte, donde, bajo Carlos Emmanuel III, tres generaciones vivieron noblemente fueron suficientes para este propósito. Lo que encuentra correspondencia en el derecho anglosajón, según el cual el innoble que había poseído cinco mansi y había servido en la dirección del grupo durante tres generaciones adquirió la nobleza.

A todas estas muy variadas especies de nobleza, en las que quizás la parte más pequeña derivaba del auténtico tronco del feudalismo de los siglos X y XI, y el resto debía su agregación en la clase noble al favor del príncipe oa otras circunstancias, se sumaba al principio de segundo. 

En XIX a instancias de Napoleón una nueva nobleza, después de que la Revolución Francesa hubiera abolido toda la nobleza y sus privilegios.

Esta nueva nobleza napoleónica, establecida con el séptimo estatuto constitucional sobre los títulos de nobleza y majoras del 21 de septiembre de 1808, estaba estrechamente relacionada con los altos cargos del estado: los electores que habían sido tres veces presidentes de las circunscripciones tenían derecho al título de duque. ; los grandes oficiales de la corona y el reino, ministros, senadores, consejeros de estado y arzobispos tenían derecho al título de conde; Los presidentes de los colegios electorales del departamento, el primer presidente, procurador general del Tribunal de Casación, los primeros presidentes y procuradores generales de los Tribunales de Apelación, los obispos y alcaldes de las ciudades del reino tenían derecho al título de barón. La transmisibilidad de los títulos a los primogénitos y en el caso de los arzobispos y obispos a su primogénito o sobrino predilecto, estaba sujeta a la institución de un aumento de la renta anual proporcional al título. Luego, el emperador otorgó títulos similares, según lo consideró apropiado, a generales, prefectos, oficiales civiles y militares y otros súbditos que se habían distinguido por los servicios prestados al estado. Los nobles napoleónicos estaban obligados a no utilizar otros escudos de armas y no tener otras libreas distintas de las que se indicaban en las cartas de patente de la institución.



I nobili godevano di solito di una condizione privilegiata. Si è già accennato che i nobili della campagna, discendenti dagli antichi domini loci, qualora non fossero intervenute cause perturbatrici della loro condizione, pagavano i tributi insieme coi cittadini o nella stessa misura di questi e non con le comunità rurali. Col procedere del tempo, specie dal secolo XVI, i nobili della campagna perdono quasi dovunque per varie ragioni questa posizione privilegiata. Ma viceversa i nuovi feudatarî creati dai principi godono, insieme con gli ecclesiastici, le più larghe esenzioni dalle imposte, perché erano obbligati solo alle contribuzioni proprie dei feudi; talora le esenzioni si estendevano anche ai beni allodiali dei feudatarî. Anche nei riguardi della giustizia i nobili erano in una posizione di privilegio. Il guidrigildo dei nobili nei tempi più antichi era maggiore parecchie volte di quello dei liberi. Dal principio della parità dei natali fra giudici e giudicato ebbero origine in qualche parte d'Italia i tribunali speciali per i nobili: e infatti negli accordi conclusi nel 1243 tra Innocenzo IV e Federico II fu espressamente stabilito che i nobili fossero giudicati dai loro pari, ciò che lo stesso Federico II riconobbe come un diritto dei nobili dei regni di Napoli e di Sicilia, e che i re Aragonesi riconobbero ai nobili della Sardegna. Nell'impero il tribunale speciale per i principi e per i grandi dignitarî funzionava alla presenza dell'imperatore, costume che fu imitato in quei paesi retti a monarchia, dove la nobiltà ebbe maggiore importanza. A Napoli, dove i nobili avevano anche la pretesa di tener coperto il capo alla presenza del re, la magna curia giudicava delle cause civili e penali dei conti, baroni e altri feudatarî regi, invece una speciale commissione composta di cinque o sei cavalieri del sedile giudicava, per privilegio concesso dal re Roberto d'Angiò alla nobiltà cittadina dei sedili, delle questioni e delle risse senza sangue che fossero insorte fra gli ascritti ai sedili. In Sicilia c'era un foro criminale costituito da dodici nobili, i quali si dovevano deputare ogni anno dal parlamento per sentenziare nei processi contro i possessori di feudi rei di delitti portanti pene corporali. Dai tempi di Carlo V le funzioni del detto foro passarono alla magna curia. In Sardegna, non solo i nobili, ma anche le loro famiglie e i loro servi, tutte le volte che i delitti comportassero pene capitali o mutilazioni, dovevano essere giudicati dai loro pari, cioè dai membri dello stamento militare. In Savoia e in Piemonte le liti dei baroni e dei banderesi erano giudicate dal consiglio residente col principe. Finalmente anche in Venezia la nobiltà godeva di una condizione di favore: i patrizî di quella città nelle materie civili in Venezia riconoscevano i tribunali comuni, ma fuori di Venezia erano soggetti soltanta ai rappresentanti del governo; nelle materie penali non potevano essere giudicati che dai tribunali di Venezia, dove varie leggi dei secoli XVI e XVII li sottoponevano, sia come imputati sia come parte lesa, al Consiglio dei dieci, il quale nei casi meno gravi poteva delegare il Magistrata della bestemmia. Durante il processo i nobili, in alcuni stati come in Spagna, ma non in Francia e in Italia, almeno nel Milanese e nella Stato Pontificio, erano esenti dalla tortura. Si domandarono per essi perfino carceri apposite, che non pare siano state mai accordate; certamente però le pene che s'infliggevano ai nobili erano di solito mena gravi di quelle inflitte ai plebei: a questi era data la galera per quei medesimi delitti per i quali i nobili venivano condannati alla relegazione o alla deportazione e alla privazione degli uffici; spesso poi i nobili potevano scontare il loro delitto col denaro, come stabilivano i capitoli di Carlo d'Angiò, le leggi venete e gli statuti di Amedeo VIII di Savoia. Che se avveniva qualche volta che anche i nobili dovessero pagare il fio dei delitti con la vita, avevano anche diritto a certi riguardi: fatta eccezione per i delitti infamanti, i nobili non venivano impiccati, ma invece decapitati e avvenne che per qualche nobile si ornasse il patibolo in modo speciale.

Los nobles disfrutaban habitualmente de un estatus privilegiado. Ya se ha mencionado que los nobles del campo, descendientes de los antiguos dominios locales, si no existían causas inquietantes de su condición, pagaban impuestos junto con los ciudadanos o en la misma medida que éstos y no con las comunidades rurales. Con el tiempo, especialmente a partir del siglo XVI, los nobles del campo perdieron en casi todas partes esta posición privilegiada por diversas razones. Pero viceversa, los nuevos feudatarios creados por los príncipes gozan, junto con los eclesiásticos, de las más amplias exenciones de impuestos, porque sólo estaban obligados a las contribuciones propias de las contiendas; a veces las exenciones también se extendían a los bienes alodiales de los feudatarios. Incluso en lo que respecta a la justicia, los nobles se encontraban en una posición privilegiada. El wigild de los nobles en épocas anteriores era varias veces mayor que el de los libres. Desde el principio de paridad de nacimiento entre jueces y juzgados, los tribunales especiales para nobles se originaron en alguna parte de Italia: y de hecho en los acuerdos celebrados en 1243 entre Inocencio IV y Federico II se estableció expresamente que los nobles eran juzgados por sus pares, lo que el propio Federico II reconoció como un derecho de los nobles de los reinos de Nápoles y Sicilia, y que los reyes aragoneses reconocieron a los nobles de Cerdeña. En el imperio, el tribunal especial para príncipes y grandes dignatarios funcionaba en presencia del emperador, costumbre que se imitaba en aquellos países gobernados por la monarquía, donde la nobleza tenía mayor importancia. En Nápoles, donde los nobles también afirmaban mantener la cabeza cubierta en presencia del rey, la magna curia juzgaba los casos civiles y penales de los condes, barones y otros feudatarios reales, en lugar de una comisión especial compuesta por cinco o seis caballeros de la sede. juzgó, por el privilegio otorgado por el rey Roberto de Anjou a la nobleza de los asientos de la ciudad, de las luchas y problemas incruenta que habían surgido entre los adscritos a los asientos. En Sicilia existía un foro penal integrado por doce nobles, que debían ser diputados cada año por el parlamento para sentenciar en los juicios contra los dueños de feudos culpables de delitos que conllevan castigos corporales. A partir de la época de Carlos V, las funciones de dicho foro pasaron a la Magna Curia. En Cerdeña, no solo los nobles, sino también sus familias y sus sirvientes, siempre que los delitos involucraban la pena capital o la mutilación, tenían que ser juzgados por sus pares, es decir, por los miembros de la estación militar. En Saboya y Piamonte, las disputas de los barones y los Banderesi fueron juzgadas por el consejo residente con el príncipe. Finalmente, incluso en Venecia la nobleza gozaba de una condición favorable: los patricios de esa ciudad reconocían los tribunales comunes en asuntos civiles en Venecia, pero fuera de Venecia estaban sujetos sólo a los representantes del gobierno; en materia penal sólo podían ser juzgados por los tribunales de Venecia, donde diversas leyes de los siglos XVI y XVII los sometían, tanto como acusados ​​como perjudicados, al Consejo de los Diez, que en casos menos graves podía delegar en el Magistrado de blasfemia. Durante el juicio los nobles, en algunos estados como España, pero no en Francia e Italia, al menos en los estados milaneses y papales, estuvieron exentos de tortura. Incluso se solicitaron cárceles especiales para ellos, que al parecer nunca se les concedieron; pero ciertamente las penas que se infligían a los nobles eran generalmente menos severas que las infligidas a los plebeyos: se les daba la cárcel por los mismos delitos por los que los nobles eran condenados a relegación o deportación y privación del cargo; entonces los nobles podían a menudo pagar su crimen con dinero, según lo establecido por los capítulos de Carlos de Anjou, las leyes venecianas y los estatutos de Amedeo VIII de Saboya. Que si pasaba alguna vez que hasta los nobles tenían que pagar con la vida la pena de los delitos, también tenían derecho a ciertos respetos: salvo los infames crímenes, los nobles no eran ahorcados, sino decapitados y sucedía que por algún noble se adornaban. la horca de una manera especial.


Contrasta con la condizione privilegiata di cui godevano generalmente i nobili, il trattamento che venne fatto a loro a Firenze durante il secolo XIII e XIV per effetto dei moti che avevano portato al potere le classi popolari. Specialmente duri contro i nobili furono gli ordinamenti di Giano della Bella del 1293: tutti i nobili dai 15 ai 70 anni furono obbligati a dare sicurtà con 2000 fiorini di vivere secondo le leggi; il podestà che non avesse punito entro cinque od otto giorni il nobile che aveva offeso un popolano perdeva l'ufficio; i nobili non potevano coprire gli uffici di podestà o di capitano fuori di Firenze: in città non dovevano avere casa o torre vicino a un ponte; non potevano accusare i popolani se non dei delitti commessi contro loro medesimi, né fare testimonianza contro quelli; infine sopportavano imposte diverse e maggiori di quelle dei popolani. Le leggi fiorentine contro i nobili furono a poco a poco adottate da quasi tutte le città della Toscana e non di rado inasprite.

Si perdeva solitamente la condizione nobile per l'esercizio di arti vili o meccaniche, per il commercio al minuto e al taglio; in alcuni luoghi anche le professioni di notaio, procuratore, speziale, chirurgo, attuario e cancelliere erano di pregiudizio alla nobiltà. Non era tuttavia proibito ai nobili l'esercizio dell'arte serica, della lana e dei panni, a patto che non vi prestassero il concorso della loro opera manuale e che non stessero in bottega. Nel resto dell'Europa era quasi dovunque stimata indegna dei nobili qualsiasi professione, eccettuata quella delle armi. Si perdeva poi dovunque la nobiltà per delitti infamanti e specialmente per tradimento contro la patria.

La nobiltà nel tempo più antico non passava ai figli nati fuori del matrimonio, neppure se legittimati per subsequens matrimonium. Specialmente rigorose a tale proposito erano le disposizioni della repubblica veneta, le quali non si accontentarono di togliere nel 1376 il diritto di appartenere al Maggior Consiglio a chi fosse nato da genitori nobili prima del matrimonio, ma negarono quel diritto nel 1422 anche ai figli legittimi se la madre era di vile condizione. Anche la successione nei feudi era solitamente preclusa ai figli legittimati. Ma in seguito, dopo l'applicazione delle norme del diritto romano, si fecero dipendere gli effetti della legittimazione dalle parole del rescritto che la concedeva, distinguendosi la legitimatio plena da quella minus plena. In molti stati vassalli dell'impero la facoltà di legittimare i bastardi nelle forme più ampie era demandata ai conti palatini.



La condizione privilegiata dei nobili, e se non altro la distinzione e il rispetto di cui essi godevano, contribuì a conservare alla nobiltà il carattere di un ceto nettamente distinto da quello del popolo. Questa divisione si rispecchiava negli statuti, come ad esempio in quello del comune di Pisa del 1286, nel quale non si ammettevano i popolani a fideiussori dei nobili e i nobili dei popolani; ma era anche fortemente sentita, cosicché raramente avveniva che un nobile sposasse una popolana o viceversa. A rafforzare questi sentimenti contribuì non poco anche la cavalleria, non solamente perché molti ordini equestri richiedevano la nobiltà delle famiglie da cui discendevano i cavalieri, ma anche perché i cavalieri per essere ammessi ai tornei dovevano dare prova della purezza del loro sangue e presentare al re d'armi, per l'opportuna verifica, lo stemma di famiglia. Da quest'ultima circostanza trae origine il fatto che tutte le famiglie nobili, a cominciare dal sec. XIII, fecero uso di un proprio stemma, cioè di un simbolo e di un'ornamentazione esteriore, che servì maggiormente, almeno durante il Medioevo, a distinguere le famiglie nobili dalle altre.

Contrasta con la situación privilegiada de la que gozaban generalmente los nobles, el trato que se les dio en Florencia durante los siglos XIII y XIV a raíz de los levantamientos que habían llevado al poder a las clases populares. Particularmente duras contra los nobles fueron las regulaciones de Giano della Bella de 1293: todos los nobles de entre 15 y 70 años estaban obligados a dar seguridad con 2000 florines para vivir de acuerdo con las leyes; el podestà que no castigó en cinco u ocho días al noble que había ofendido a un plebeyo perdió su cargo; los nobles no podían cubrir los cargos de podestà o capitán fuera de Florencia: en la ciudad no debían tener casa o torre cerca de un puente; no podían acusar a los plebeyos excepto por los crímenes cometidos contra ellos mismos, ni dar testimonio contra ellos; finalmente soportaron impuestos diferentes y más altos que los de los plebeyos. Las leyes florentinas contra los nobles fueron aprobadas gradualmente por casi todas las ciudades de la Toscana y no pocas veces se hicieron más estrictas.

La nobleza se perdía generalmente para el ejercicio de artes viles o mecánicas, para la venta al por menor y el corte; en algunos lugares, incluso las profesiones de notario, procurador, boticario, cirujano, actuario y canciller resultan perjudiciales para la nobleza. Sin embargo, a los nobles no se les prohibió ejercitar el arte de la seda, la lana y la tela, siempre y cuando no les prestasen la ayuda de su trabajo manual y no permanezcan en el taller. En el resto de Europa, casi en todas partes, cualquier profesión, excepto la de armas, se consideraba indigna de nobles. Entonces la nobleza se perdió en todas partes por crímenes infames y especialmente por traición al país.

La nobleza en los primeros tiempos no pasaba a los hijos nacidos fuera del matrimonio, aunque legitimados per subsens matrimonium. Particularmente rigurosas a este respecto fueron las disposiciones de la república veneciana, que no se conformó con quitar en 1376 el derecho a pertenecer al Maggior Consiglio a cualquiera nacido de padres nobles antes del matrimonio, pero negó ese derecho en 1422 incluso a los hijos legítimos si la madre estaba en un estado vil. La sucesión en feudos también estaba prohibida generalmente a los hijos legítimos. Pero luego, luego de la aplicación de las normas del derecho romano, los efectos de la legitimidad se hicieron depender de las palabras del rescripto que la otorgaba, distinguiendo legitimatio plena de aquella minus plena. En muchos estados vasallos del imperio, la facultad de legitimar a los bastardos en las formas más amplias se delegó en los condes palatinos.

La condición privilegiada de los nobles, y al menos la distinción y el respeto de que gozaban, contribuyó a preservar el carácter de una clase claramente distinta a la del pueblo. Esta división se reflejó en los estatutos, como el del municipio de Pisa en 1286, en el que los plebeyos no eran admitidos como garantes de los nobles y los nobles de los plebeyos; pero también se sentía fuertemente, de modo que rara vez sucedía que un noble se casara con un plebeyo o viceversa. La caballería también contribuyó no poco a reforzar estos sentimientos, no solo porque muchas órdenes ecuestres exigían la nobleza de las familias de las que descendían los caballeros, sino también porque los caballeros para ser admitidos a los torneos tenían que demostrar la pureza de su sangre y presentar al rey. de armas, para su debida verificación, el escudo familiar. El hecho de que todas las familias nobles, a partir del siglo XIII, hicieron uso de su propio escudo, que es un símbolo y una ornamentación externa, que sirvió más, al menos durante la Edad Media, para distinguir a las familias nobles de otras.



Ma la condizione privilegiata dei nobili fu anche in ogni tempo un incentivo per una celta classe di persone che non potevano vantare una origine nobile, ma che erano ricche e vivevano alla maniera dei nobili, oppure erano chiamate a uffici elevati, a farsi passare per nobili. D'altra parte, lontana ormai nei secoli l'epoca feudale, dalla quale traeva il suo fondamento la nobiltà del sangue, moltiplicatisi i modi di acquisto di nobiltà e di titoli nobiliari, diversa nei varî stati la valutazione della condizione nobile, che variava anche a seconda degli usi e degli ordinamenti locali, non era facile verso il sec. XVI distinguere quelli che avevano realmente diritto a essere considerati nobili e a portare un titolo nobiliare, dagli altri che si trattavano da nobili e da titolati abusivamente. Sorse pertanto la necessità di disciplinare le prove per il riconoscimento della nobiltà e dei titoli spettanti alle famiglie, e di formare elenchi ufficiali delle famiglie nobili.

In Piemonte, dove fino dai tempi di Amedeo VIII si era provveduto negli statuti a distinguere la nobiltà nei tre gradi di baroni, di banderesi e di vassalli e dove nel 1687 si era ordinata la generale consegna e registrazione delle armi gentilizie, poiché i feudi di giurisdizione non si potevano concedere che a persone nobili, si pensò nel 1738 all'opportunità di stabilire delle norme per accertare la condizione nobile.

 A Milano, simili norme erano state fissate già nel 1586 per l'ammissione al Collegio dei giureconsulti e nel 1652 per l'ammissione al patriziato, e sulla scorta di quelle norme si ordinò con l'editto dell'imperatrice Maria Teresa, del 20 novembre 1769, che nessuno potesse fare uso di titoli, di qualifiche nobiliari e di stemmi gentilizî, se non ne avesse ottenuto il riconoscimento da parte del Tribunale araldico espressamente istituito a questo scopo. 

In Toscana una legge di Francesco II del 31 luglio 1750 precisava quali famiglie nelle varie città del granducato avessero diritto ai titoli di nobili patrizî e di nobili e quali altre al titolo di cittadini, istituendo per le prime appositi registri, in cui, insieme con la genealogia, figurasse lo stemma gentilizio.
 
A Roma una costituzione pontificia del 4 gennaio 1746 stabiliva nuove regole sopra la nobiltà e cittadinanza romana ordinando la formazione di un elenco delle famiglie in cui si fossero avuti conservatori della Camera capitolina o persone che avessero coperto l'ufficio di priore nelle capitali delle regioni dello stato, e ordinando pure che dal detto elenco si designassero i nomi di 60 famiglie nobili romane col titolo di coscritti. 


Anche nei minori stati si volle regolare la materia nobiliare, come in quello di Modena, dove un chirografo sovrano del 22 marzo 1788 imponeva alle famiglie nobili stabilite permanentemente nella città di farsi iscrivere nel Libro d'oro. Gli elenchi nobiliari più antichi però sono quelli dove si registravano i membri delle famiglie patrizie dalle quali si dovevano scegliere i membri del consiglio delle città. Simili elenchi di famiglie appartenenti al patriziato cittadino, quando scoppiò la rivoluzione francese, si avevano in quasi tutte le città italiane e spesso furono distrutti sulle pubbliche piazze da popolani fanatici. Essi sono generalmente molto antichi. La serrata del Maggior Consiglio di Venezia, deliberata il 28 febbraio 1297, presupponeva la formazione di un libro delle famiglie patrizie, che però fu istituito solo nel 1506 (v. libro d'oro). Un elenco più antico è quello voluto dall'arcivescovo di Milano Ottone Visconti nel 1277 per la designazione delle famiglie nobili da cui si potevano scegliere gli ordinarî del duomo. 

A Genova il liber nobilitatis, volgarmente detto Libro d'oro, quello che il 14 giugno 1797 fu bruciato sulla pubblica piazza, risaliva al 1528 e conteneva i nomi dei nobili e veniva via via aggiornato con l'aggiunta dei discendenti e successori dei nobili stessi. Altri elenchi speciali si fecero poi con l'intento di reprimere l'abuso di titoli nobiliari: così il senato veneto il 4 febbraio 1662 approvava la proposta dei provveditori sopra feudi relativa all'istituzione di un libro dei veri titolati e invitava a mezzo dei rettori di Terraferma tutte quelle famiglie che facevano uso dei titoli di conti, marchesi, ecc., a produrre documenti per provare i titoli stessi; il libro d'oro dei titolati così formato fu poi aperto a successive iscrizioni e aggiornamenti negli anni 1674 e 1729; nel 1760 poi il Consiglio dei dieci decretò che i titoli da chiunque concessi non avessero valore se non fossero riconosciuti e registrati dai provveditori sopra feudi. Analogamente a Milano nel 1718 un editto governativo obbligava i titolati a presentare i loro privilegi e documenti per la formazione di un catalogo dei titolati, che si formò nel 1720. Al tempo della restaurazione austriaca nella Lombardia e nel Veneto si ordinò una nuova revisione dei titoli nobiliari che ebbe luogo tra il 1815 e il 1828 e fu alfidata alle II. RR. Commissioni araldiche di Milano e di Venezia; a seguito di questa revisione furono formati nuovi elenchi nobiliari, che per la prima volta vennero dati alle stampe. I due elenchi ufficiali delle famiglie lombarde e venete videro la luce nel 1828 e quello delle famiglie lombarde fu poi ristampato nel 1840.













Pero la condición privilegiada de los nobles fue también en todo momento un incentivo para que una clase celta de personas que no podían presumir de un origen noble, pero que eran ricos y vivían a la manera de los nobles, o estaban llamados a altos cargos, se hicieran pasar por nobles. . Por otro lado, la época feudal, de la que se fundamenta la nobleza de sangre, multiplicó las formas de adquirir nobleza y títulos nobiliarios, diferenciándose en los distintos estados la valoración de la condición noble, que también variaba Dependiendo de las costumbres y regulaciones locales, no fue fácil hacia el siglo. XVI distinguir a quienes realmente tenían derecho a ser considerados nobles y a portar un título nobiliario, de otros que eran nobles y con títulos ilegales. Por tanto, surge la necesidad de regular las pruebas para el reconocimiento de la nobleza y los títulos debidos a las familias, y de formar listas oficiales de familias nobles.


En Piamonte, donde desde la época de Amedeo VIII se habían dispuesto los estatutos para distinguir la nobleza en los tres grados de barones, banderesi y vasallos y donde en 1687 se había ordenado la entrega general y el registro de armas nobles, desde los feudos de La jurisdicción solo podía otorgarse a personas nobles, se pensó en 1738 de la oportunidad de establecer reglas para determinar el estatus de noble.

 En Milán, ya se habían establecido reglas similares en 1586 para la admisión en el Colegio de Juristas y en 1652 para la admisión a la aristocracia, y en base a esas reglas se ordenó con el edicto de la Emperatriz María Teresa, de 20 de noviembre. 1769, que nadie podía hacer uso de títulos, títulos nobiliarios y escudos nobiliarios, si no hubiera obtenido el reconocimiento del Tribunal heráldico expresamente establecido para tal efecto. 

En Toscana, una ley de Francisco II del 31 de julio de 1750 especificó qué familias de las diversas ciudades del gran ducado tenían derecho a los títulos de nobles patricios y nobles y qué otras al título de ciudadanos, estableciendo los primeros registros apropiados, en los que, junto con el genealogía, apareció el noble escudo de armas.

 En Roma, una constitución pontificia del 4 de enero de 1746 estableció nuevas reglas sobre la nobleza y la ciudadanía romana al ordenar la formación de una lista de familias en las que hubiera conservadores de la Cámara Capitolina o personas que hubieran ocupado el cargo de prior en las capitales de las regiones de Estado, y también ordenando que los nombres de 60 familias nobles romanas sean designados de dicha lista con el título di coscritti.

 Incluso en los estados menores querían regular la materia noble, como en el de Módena, donde un quirógrafo soberano del 22 de marzo de 1788 exigía que las familias nobles establecidas permanentemente en la ciudad estuvieran registradas en el Libro de Oro. Las listas nobiliarias más antiguas, sin embargo, son aquellas en las que estaban inscritos los miembros de las familias patricias de entre las que había que elegir a los miembros del ayuntamiento. Listas similares de familias pertenecientes al patriciado de la ciudad, cuando estalló la Revolución Francesa, se encontraron en casi todas las ciudades italianas y a menudo fueron destruidas en plazas públicas por plebeyos fanáticos. Generalmente son muy viejos. El cierre patronal del Maggior Consiglio de Venecia, deliberado el 28 de febrero de 1297, presupuso la formación de un libro de familias patricias, que, sin embargo, no fue instituido hasta 1506 (ver libro de oro). Una lista más antigua es la solicitada por el arzobispo de Milán Ottone Visconti en 1277 para la designación de las familias nobles entre las que se podían elegir los ordinarios de la catedral.

 En Génova el liber nobilitatis, comúnmente conocido como el Libro de Oro, el que se quemó en la plaza pública el 14 de junio de 1797, databa de 1528 y contenía los nombres de los nobles y se fue actualizando gradualmente con la incorporación de los descendientes y sucesores de los propios nobles. . Luego se hicieron otras listas especiales con la intención de reprimir el abuso de títulos nobiliarios: por lo que el Senado veneciano el 4 de febrero de 1662 aprobó la propuesta de los supervisores sobre disputas relativas al establecimiento de un libro de los verdaderos titulado e invitado a través de los rectores. de Terraferma todas aquellas familias que utilizaron los títulos de cuentas, marqueses, etc., para producir documentos que acrediten los propios títulos; el libro de oro de las personas tituladas así formadas se abrió a posteriores registros y actualizaciones en los años 1674 y 1729; luego, en 1760, el Concilio de los Diez decretó que los títulos otorgados por quienquiera no tendrían valor si no eran reconocidos y registrados por los supervisores de los feudos. De manera similar, en Milán en 1718 un edicto gubernamental obligó a los titulados a presentar sus privilegios y documentos para la formación de un catálogo de títulos, que se formó en 1720. En el momento de la restauración austriaca en Lombardía y Véneto se ordenó una nueva revisión de los títulos. nobiliario que tuvo lugar entre 1815 y 1828 y fue encomendado al II. RR. Comisiones heráldicas de Milán y Venecia; Tras esta revisión, se formaron nuevas listas de nobles, que se imprimieron por primera vez. Las dos listas oficiales de familias lombardas y venecianas vieron la luz en 1828 y la de las familias lombardas se reimprimió en 1840.


La nobiltà nel diritto pubblico odierno. - Oggi la nobiltà non è più che un ricordo storico e, salvo poche eccezioni, sussiste solo come una distinzione ereditaria in quegli stati che si reggono a monarchia. Giova però ricordare che tuttora nell'ordinamento costituzionale inglese la classe nobiliare rappresenta una frazione del potere legislativo, giacché i primogeniti delle famiglie decorate di titoli di nobiltà, costituenti la paria, sono chiamati a sedere per diritto ereditario nella Camera alta. Con i nuovi ordinamenti costituzionali, nella generalità degli stati monarchici furono mantenuti in vigore i titoli di nobiltà e fu espressamente riconosciuta al sovrano la facoltà di concederne dei nuovi. Era però evidente che tali concessioni - e l'art. 71 della carta francese del 1814 lo dichiarava espressamente - non costituivano che semplici gradi e onori, senza alcuna esenzione dai carichi e dai doveri della società.

Ordinamento attuale in Italia. - Lo statuto di Carlo Alberto, divenuto legge fondamentale del regno d'Italia, ha pure esplicitamente negli art. 79 e 80 riaffermata la facoltà nel re di continuare a concedere nuovi titoli di nobiltà e ad autorizzare i cittadini a riceverli da potenza estera, mentre dichiarava mantenuti in vigore quelli precedentemente concessi. Sostanzialmente il contenuto delle disposizioni dei citati art. 79 e 80 dello statuto, integrate dalle numerose norme legislative riflettenti la materia, successivamente emanate, si possono riassumere nei seguenti punti principali:

1. sono mantenuti e riconosciuti i diritti di nobiltà preesistenti, ma il mantenimento delle distinzioni nobiliari non può implicare il concetto che la nobiltà si possa considerare ancora come un ordine o una classe sociale distinta dalle altre, o che, comunque conservi il godimento di privilegi o d'immunità, che nei secoli passati costituivano il suo retaggio. Su questo punto lo statuto italiano non ritenne necessario ripetere la dichiarazione già riferita, inserita nell'art. 71 della carta francese del 1814, e poi riprodotta anche nell'art. 62 della carta del 1830, per chiarire che la nobiltà si risolve in una semplice attribuzione di onori, senza alcuna esenzione dai doveri sociali. Tale dichiarazione fu giudicata superflua, sia perché l'abolizione del regime feudale, già da molti anni attuata nel regno di Sardegna, come in ciascuno degli stati preesistenti che concorsero poi a formare il regno d'Italia, aveva operato di pieno diritto la soppressione di ogni effettiva separazione di classe e annullato tutti i privilegi della classe nobiliare, sia perché l'art. 24 del medesimo statuto proclamava, senza possibilità di equivoci o d'interpretazioni restrittive, il principio della perfetta uguaglianza giuridica di tutti i cittadini di fronte alla legge, qualunque fosse il loro titolo e grado;

2. il re è riconosciuto come unica fonte degli onori, conservando all'uopo l'esercizio esclusivo di una prerogativa sovrana, intendendosi che in tale prerogativa si debba ravvisare l'esercizio di una speciale attribuzione della corona, quale supremo organo dello stato costituzionale. Si aggiunga che l'esercizio di tale prerogativa non si limita alle funzioni di natura meramente esecutiva, quali la concessione di nuovi titoli, la rinnovazione di quelli estinti, l'autorizzazione a riceverli da una potenza estera, ovvero a far uso di quelli concessi dalla Santa Sede dopo il 1870, ma si estende altresì all'esercizio di una vera e propria potestà legislativa. Tale competenza fu riaffermata in modo definitivo dall'art. 1 lett. a dell'ordinamento dello stato nobiliare italiano approvato con r. decr. 21 gennaio 1929, n. 61.


Circa il fondamento della suddetta competenza legislativa, è controverso se essa derivi da un potere di speciale autarchia, di cui il sovrano sarebbe il soggetto in tale materia, o da un residuo dell'antico potere assoluto del re, che la costituzione avrebbe inteso in questo campo lasciargli integro, ovvero tale facoltà debba rientrare nell ordinario potere di emanazione dei regolamenti indipendenti di cui all'art.1, n. 2, della legge 31 gennaio 1920, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo per emanare norme giuridiche;


3. indipendentemente dalla prerogativa reale, sanzionata negli art. 79 e 80 dello statuto relativi al conferimento di nuovi titoli di nobiltà, rinnovazione o autorizzazione, si deve riconoscere una sfera indipendente e autonoma di diritti sia a favore di coloro che già si trovano nel legittimo possesso di distinzioni nobiliari, sia per quanto riguarda ulteriore devoluzione delle medesime secondo le norme della successione nobiliare, salvo l'adempimento di determinate formalità amministrative, prescritte per la legittimità dell'uso, e consistenti principalmente nell'obbligatorietà dell'inscrizione individuale nell'elenco ufficiale della nobiltà italiana. A garantire il pieno godimento di tali diritti è accordata ai titolari di essi ampia protezione giuridica da sperimentarsi anche verso gli organi dello stato medesimo, mediante l'azione giudiziaria; ma ciò solo in caso di denegato riconoscimento, qualora si tratti di diritti già perfetti che non abbisognano di sanatorie, le quali si possono invocare solo dalla prerogativa reale.



Nobleza en el derecho público actual. - Hoy la nobleza no es más que una memoria histórica y, salvo contadas excepciones, existe solo como distinción hereditaria en aquellos estados que se rigen por la monarquía. Sin embargo, conviene recordar que todavía en el orden constitucional inglés la clase noble sigue representando una fracción del poder legislativo, ya que los primogénitos de familias condecoradas con títulos de nobleza, que constituyen el pares, están llamados a sentarse por derecho hereditario en la cámara alta. Con los nuevos órdenes constitucionales, los títulos de nobleza se mantuvieron en vigor en la mayoría de los estados monárquicos y el poder de otorgar otros nuevos fue reconocido expresamente al soberano. Sin embargo, era evidente que estas concesiones - y el art. 71 de la carta francesa de 1814 lo decía explícitamente: no constituían más que simples títulos y honores, sin ninguna exención de los deberes y deberes de la sociedad.


Sistema actual en Italia. - El estatuto de Carlo Alberto, que se ha convertido en una ley fundamental del reino de Italia, también lo tiene explícitamente en el art. 79 y 80 reafirmó la facultad del rey de seguir otorgando nuevos títulos nobiliarios y de autorizar a los ciudadanos a recibirlos de una potencia extranjera, mientras que declaró vigentes los anteriormente otorgados. Básicamente el contenido de las disposiciones del art. 79 y 80 del estatuto, integrado por las numerosas normas legislativas que reflejan la materia, posteriormente emitidas, se pueden resumir en los siguientes puntos principales:

1. Se mantienen y reconocen los derechos de la nobleza preexistente, pero el mantenimiento de las distinciones nobles no puede implicar el concepto de que la nobleza todavía puede ser considerada como un orden o una clase social distinta de las demás, o que, sin embargo, conserva el disfrute de privilegios. o inmunidad, que en siglos pasados ​​constituyó su legado. Sobre este punto, el estatuto italiano no consideró necesario repetir la declaración ya mencionada, insertada en el art. 71 del mapa francés de 1814, y luego reproducido también en el art. 62 de la carta de 1830, para aclarar que la nobleza se resuelve en una simple atribución de honores, sin exención alguna de los deberes sociales. Esta declaración fue juzgada superflua, tanto porque la abolición del régimen feudal, ya implementado durante muchos años en el reino de Cerdeña, como en cada uno de los estados preexistentes que luego concurrieron a formar el reino de Italia, había provocado plenamente la supresión de toda separación efectiva de clases y canceló todos los privilegios de la clase noble, tanto porque el art. 24 del mismo estatuto proclamó, sin posibilidad de malentendidos o interpretaciones restrictivas, el principio de perfecta igualdad jurídica de todos los ciudadanos ante la ley, cualquiera que sea su título y rango;

2. Se reconoce al rey como fuente única de honores, conservando para ello el ejercicio exclusivo de una prerrogativa soberana, entendiéndose que esta prerrogativa debe incluir el ejercicio de una atribución especial de la corona, como órgano supremo del Estado constitucional. Cabe agregar que el ejercicio de esta prerrogativa no se limita a funciones de carácter puramente ejecutivo, tales como el otorgamiento de nuevos títulos, la renovación de los extinguidos, la autorización para recibirlos de una potencia extranjera, o hacer uso de los otorgados por la Santa Sede después de 1870, pero también se extiende al ejercicio de un poder legislativo real. Esta competencia fue definitivamente reafirmada por el art. 1 letra a de la orden del estado noble italiano aprobado con r. decr. 21 de enero de 1929, n. 61.

En cuanto al fundamento de la referida competencia legislativa, es controvertido si se deriva de un poder de autarquía especial, del que sería sujeto en esta materia el soberano, o de un remanente del antiguo poder absoluto del rey, que la constitución habría significado en este sentido. campo para dejarlo intacto, o esta facultad debe caer dentro de la facultad ordinaria de dictar los reglamentos independientes a que se refiere el artículo 1, núm. 2, de la ley del 31 de enero de 1920, n. 100, sobre el derecho del poder ejecutivo a dictar normas jurídicas;


3. Independientemente de la prerrogativa real, sancionada en el art. 79 y 80 del estatuto relativo a la concesión de nuevos títulos de nobleza, renovación o autorización, se debe reconocer una esfera de derechos independiente y autónoma tanto a favor de quienes ya están en posesión legítima de distinciones nobles, como en lo que respecta a la posterior devolución. del mismo según las reglas de la sucesión aristocrática, salvo el cumplimiento de determinadas formalidades administrativas, prescritas para la legitimidad del uso, y que consisten principalmente en el registro obligatorio del individuo en la lista oficial de la nobleza italiana. Para garantizar el pleno goce de estos derechos, a los titulares de estos derechos se les otorga una amplia protección jurídica para ser probados también frente a los órganos del propio Estado, a través de la acción judicial; pero esto solo en el caso de reconocimiento negado, en el caso de derechos ya perfectos que no necesitan amnistías, que solo pueden ser invocadas por la prerrogativa real.


Per la cognizione di tutta la materia nobiliare funziona la Consulta araldica istituita presso il Ministero dell'interno con r. decr. 10 ottobre 1869, n. 5318, deferita alla presidenza del Consiglio dei ministri con r. decr. 7 gennaio 1888, n. 6093, restituita alle dipendenze del Ministero dell'interno con r. decr. 19 febbraio 1891, n. 69, e passata nuovamente alle dipendenze della presidenza del consiglio con r. decr. 11 febbraio 1923, n. 325. Dalla fondazione del regno a oggi furono in vigore varî regolamenti per il funzionamento della consulta. Il più vecchio è quello approvato con r. decr. 8 maggio 1870. Seguì il regolamento approvato con r. decr. 8 gennaio 1888, poi quello approvato con r. decr. 5 luglio 1896, n. 314 e finalmente l'attuale ordinamento dello stato nobiliare italiano approvato con r. decr. 21 gennaio 1929, n. 61. Secondo quest'ordinamento i provvedimenti nobiliari si distinguono in atti sovrani di grazia e in atti governativi di giustizia, a seconda che si tratti di concessione, rinnovazione, riconoscimento con sanatoria, oppure di riconoscimento puro e semplice di diritti nobiliari. I titoli ammessi nel regno sono quelli di principe e duca, marchese, conte, visconte, barone, signore, patrizio, cavaliere ereditario e nobile. Quelli conferiti da Napoleone non si riconoscono ai discendenti dell'investito se non fu costituito il prescritto maggiorasco. I titoli feudali del Napoletano e della Sicilia non sono più trasmissibili alla discendenza femminile, ma solo per ordine di primogenitura maschile. Non si possono rinnovare i titoli del Sacro Romano Impero, quello di conte palatino e i titoli concessi da una potenza straniera. Non si possono concedere nuove ascrizioni al patriziato o alla nobiltà cittadina, fatta eccezione per la nobiltà romana a favore dei fratelli del sommo pontefice e dei loro discendenti. I titoli concessi dal sommo pontefice dopo il 1870 si possono portare previa autorizzazione reale. La nobiltà non si trasmette con l'adozione, invece si trasmette ai figli legittimati per susseguente matrimonio e a quelli legittimati per rescritto di principe, qualora nel rescritto stesso sia contemplato il diritto alla successione. Incorrono nella perdita dei titoli e attributi nobiliari e nella decadenza del diritto a succedervi i condannati per delitti contro la patria e i condannati a pene non inferiori a cinque anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

La consulta è presieduta dal capo del governo; essa elegge nel suo seno la giunta araldica. Accanto alla consulta e alla giunta araldica vi è il commissario del re, al quale spetta riferire alla giunta circa le istanze e le proposte di provvedimenti nobiliari che gli vengono comunicate dall'ufficio araldico, e di sottoporre al sovrano assenso i provvedimenti di grazia, udito il capo del governo. Per dare avvisi e notizie sulla materia nobiliare riguardante le rispettive regioni, funzionano dodici commissioni araldiche regionali.

Per la registrazione dei provvedimenti nobiliari si tengono dall'ufficio araldico e sotto la direzione del commissario del re: 1. il Libro d'oro della nobiltà italiana, dove s'iscrivono le famiglie italiane che ottennero un provvedimento nobiliare; 2. il Libro dei titolati stranieri, in cui s'iscrivono tanto le famiglie italiane che sono in possesso di titoli stranieri, quanto le famiglie straniere che sono in possesso di titoli italiani e stranieri; 3. il Libro araldico degli enti morali, dove sono segnati gli stemmi, le bandiere, i sigilli, i titoli e le altre distinzioni riguardanti provincie, comuni, società e altri enti morali; 4. l'Elenco ufficiale nobiliare, da approvarsi mediante decreto reale su proposta del capo del governo, in cui sono segnati per ordine alfabetico i nomi e i cognomi di tutte le persone che si trovano nel legittimo e riconosciuto possesso di titoli e attributi nobiliari.


Il primo elenco ufficiale nobiliare italiano fu curato dalle commissioni araldiche regionali e apparve sul bollettino della consulta araldica come Elenco ufficiale dei nobili e titolati nelle singole regioni tra il 1895 e il 1900, preceduto intorno al 1892 da elenchi provvisorî. Nel 1922 fu pubblicato l'Elenco ufficiale nobiliare italiano, approvato con r. decr. 3 luglio 1921, che fu il primo elenco generale della nobiltà italiana. Recentemente esso è stato sostituito da un nuovo elenco ufficiale approvato con r. decr. 7 settembre 1933, n 1990, pubblicato in volume nel 1934.

Le tasse erariali per la concessione e la rinnovazione dei titoli e dei predicati nobiliari sono fissate dal r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3279; quelle per il riconoscimento furono introdotte col r. decr. 22 settembre 1932, n. 1464. I diritti di cancelleria per i provvedimenti araldici furono stabiliti con r. decr. 6 novembre 1930, n. 1494, in parte modificati dal decreto del capo del governo 20 febbraio 1931, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 marzo 1931, n. 66.

Sotto il regno d'Italia non erano stati ancora stabiliti i termini per una revisione generale dei diritti nobiliari, e negli elenchi ufficiali figurano, insieme con le famiglie che produssero con le commissioni regionali gli atti di stato civile comprovanti la derivazione da persone riconosciute o create nobili dai cessati governi, le famiglie che ottennero provvedimenti nobiliari dal governo del regno e che come tali sono iscritte nel libro d'oro della nobiltà italiana. Ma con il citato r. decr. 7 settembre 1933, con il quale venne approvato il nuovo elenco, è stato fatto obbligo ai cittadini indicati nell'elenco stesso e non ancora iscritti nel libro d'oro di chiedere l'iscrizione dei proprî titoli, predicati e stemmi nel detto libro d'oro nel termine di tre anni. I non adempienti non potranno ottenere l'iscrizione negli elenchi successivi.


Para el conocimiento de todos los asuntos nobles, el Consejo Heráldico establecido en el Ministerio del Interior con r. decr. 10 de octubre de 1869, n. 5318, remitido a la Presidencia del Consejo de Ministros con r. decr. 7 de enero de 1888, n. 6093, regresó al Ministerio del Interior con r. decr. 19 de febrero de 1891, n. 69, y pasó de nuevo a la oficina de la presidencia del consejo con r. decr. 11 de febrero de 1923, n. 325. Desde la fundación del reino hasta el día de hoy estuvieron en vigor diversas normas para el funcionamiento del consejo. El más antiguo es el aprobado con r. decr. 8 de mayo de 1870. El reglamento aprobado con r. decr. 8 de enero de 1888, luego el aprobado con r. decr. 5 de julio de 1896, n. 314 y finalmente la orden actual del estado noble italiano aprobada con r. decr. 21 de enero de 1929, n. 61. Según esta orden, las medidas nobles se dividen en actos de gracia soberanos y actos de justicia de gobierno, según se trate de concesión, renovación, reconocimiento con amnistía o puro y simple reconocimiento de derechos nobles. Los títulos admitidos en el reino son los de príncipe y duque, marqués, conde, vizconde, barón, señor, patricio, caballero hereditario y noble. Las conferidas por Napoleón no se reconocen en la descendencia del investido si no se constituyó el majorasco prescrito. Los títulos feudales de Napolitano y Sicilia ya no son transmisibles a la ascendencia femenina, sino solo por orden de primogenitura masculina. Los títulos del Sacro Imperio Romano Germánico, el del Conde Palatino y los títulos otorgados por una potencia extranjera no pueden renovarse. No se pueden otorgar nuevas adscripciones al patriciado ni a la nobleza de la ciudad, excepto la nobleza romana a favor de los hermanos del Sumo Pontífice y sus descendientes. Los títulos otorgados por el Sumo Pontífice después de 1870 pueden traerse previa autorización real. La nobleza no se transmite por adopción, sino que se transmite a los hijos legitimados por el matrimonio posterior y a los legitimados por el rescripto del príncipe, si el derecho a la sucesión está contemplado en el rescripto mismo. Los condenados por delitos contra su país y los condenados a penas no menores de cinco años de prisión e interdicción perpetua de cargos públicos incurren en la pérdida de los títulos y atributos nobiliarios y en la pérdida del derecho a sucederlos.

La consulta está presidida por el jefe de gobierno; elige a la junta heráldica desde dentro. Junto al cónsul y la junta heráldica está el comisario del rey, quien se encarga de informar a la junta sobre las solicitudes y propuestas de medidas nobles que le son comunicadas por la oficina heráldica, y de someter las medidas de gracia al consentimiento soberano, habiendo oído el jefe de gobierno. Doce comisiones heráldicas regionales trabajan para dar avisos y noticias sobre asuntos nobles relacionados con las respectivas regiones.

er el registro de las órdenes nobles está a cargo de la oficina heráldica y bajo la dirección del comisario del rey: 1. el Libro de Oro de la nobleza italiana, donde se registran las familias italianas que obtuvieron una provisión noble; 2. el Libro de calificaciones extranjeras, que incluye tanto a las familias italianas en posesión de calificaciones extranjeras como a las familias extranjeras en posesión de calificaciones italianas y extranjeras; 3. El libro heráldico de las entidades morales, donde se marcan los escudos, banderas, sellos, títulos y demás distinciones relativas a provincias, municipios, empresas y demás entidades morales; 4. La lista oficial de nobleza, que será aprobada por real decreto a propuesta del jefe de gobierno, en la que se enumeren en orden alfabético los nombres y apellidos de todas las personas que se encuentren en posesión legítima y reconocida de títulos y atributos nobiliarios.


La primera lista oficial de nobles italianos fue editada por las comisiones heráldicas regionales y apareció en el boletín de la consulta heráldica como Lista Oficial de nobles y titulada en las regiones individuales entre 1895 y 1900, precedida alrededor de 1892 por listas provisionales. En 1922 se publicó la lista oficial de la nobleza italiana, aprobada con r. decr. 3 de julio de 1921, que fue la primera lista general de la nobleza italiana. Recientemente ha sido reemplazado por una nueva lista oficial aprobada con r. decr. 7 de septiembre de 1933, n 1990, publicado en volumen en 1934.

Los impuestos estatales para la concesión y renovación de títulos nobiliarios y predicados están fijados por r. decr. 30 de diciembre de 1923, n. 3279; los de reconocimiento se introdujeron con r. decr. 22 de septiembre de 1932, n. 1464. Los derechos de cancillería para las disposiciones heráldicas se establecieron con r. decr. 6 de noviembre de 1930, n. 1494, parcialmente modificado por el decreto del jefe de gobierno del 20 de febrero de 1931, publicado en la Gaceta Oficial del 31 de marzo de 1931, n. 66.

Bajo el reinado de Italia, aún no se habían establecido los términos para una revisión general de los derechos nobles, y en las listas oficiales se encuentran, junto con las familias que produjeron con las comisiones regionales los documentos de estado civil que acrediten la derivación de personas reconocidas o creadas. nobles de los gobiernos cesados, las familias que obtuvieron provisiones nobles del gobierno del reino y que como tales están inscritas en el libro de oro de la nobleza italiana. Pero con la r antes mencionada. decr. El 7 de septiembre de 1933, con la cual se aprobó la nueva lista, los ciudadanos indicados en la lista y aún no inscritos en el libro de oro se vieron obligados a solicitar la inscripción de sus títulos, predicados y escudos en dicho libro de armas. oro dentro de tres años. Las partes que no cumplan no podrán obtener el registro en listas posteriores.



Bibl.: Per la nobilitas romana, v.: L. Lange, Römische Alterthümer, II, Berlino 1879, p. i segg.; C. Neumann, Geschichte Roms während des Verfalles der Republik, I, Breslavia 1881, p. 30 segg.; Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III, i, Lipsia 1887, pp. 458 segg.; 466 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1917, p. 344; IV, i, ivi 1923, p. 486 segg.; M. Gelzer, Die Nobilität der römischen Republik,Lipsia 1912; J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino e Lipsia 1926, p. 476 segg.; E. Pais, Storia interna di Roma dalle guerre puniche alla rivoluzione graccana, Torino 1931, pp. 14 segg., 47 segg.; E. Meynial, Quelques réflexions sur l'histoire de la noblesse romaine, in Studi giuridici in onore di Carlo Fadda pel XXV anno del suo insegnamento, II, Napoli 1906, pp. 129-163; G. Bonolis, I titoli di nobiltà nell'Italia bizantina, Firenze 1905; G. B. Picotti, Il "Patricius" nell'ultima età imperiale e nei primi regni barbarici d'Italia, in Archivio storico italiano, 1928, p. 3 segg.

Per la storia della nobiltà nel Medioevo e nell'età moderna: P. Del Giudice, Origine del feudo e sua introduzione in Italia, in Nuovi studi di storia e diritto, Milano 1913, pp. 106-107; F. Calvi, Il patriziato milanese, Milano 1875; A. Solmi, L'amministrazione finanziaria del Regno italico nell'alto Medioevo, Pavia 1932; G. B. Bognetti, Sulle origini dei comuni rurali del Medioevo, ivi 1927; R. Caggese, Classi e comuni rurali nel Medioevo italiano, Firenze 1907, voll. 2; G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, ivi 1899; A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., Torino 1896-1903, voll. 6; A. Dopsch, Beneficialwesen und Feudalität, in Mitteilungen des öst. Institut für Geschichstforschung, XLVI (1932), pp. 1-36.

Per le notizie storiche e genealogiche sulle famiglie nobili giovano gli annuarî della nobiltà che senza carattere ufficiale furono pubblicati in molti stati. Il più importante di questi annuarî è l'Almanacco di Gotha (Gothaischer Geneal. Hofkalender, Gen. Taschenbuch, dal 1763, Gräfl. Taschenbuch, dal 1825, Freiherrl. Taschenbuch, dal 1849, Adel. Taschenbuch dal 1900), che esce regolarmente ogni anno. Su di esso si foggiarono quasi tutte le pubblicazioni consimili tra cui anche l'Annuario della nobiltà italiana, un volume all'anno, dal 1879 al 1905, e il Libro d'oro della nobiltà italiana, di cui sono usciti finora sette volumi dal 1911 al 1932. Una pubblicazione che intese dare le notizie storiche e genealogiche su tutte le famiglie nobili attualmente viventi è l'Enciclopedia nobiliare italiana, pubblicata a cura del marchese Vittorio Spreti, in 6 volumi dal 1928 al 1932 e di cui si attende ancora un volume d'appendice. I problemi nobiliari vengono trattati in primo luogo nel Bollettino della consulta araldica, di cui venne iniziata la pubblicazione col settembre 1891, ma per importanza devono anche ricordarsi il Giornale araldico-genealogico, compilato da una società di araldisti e genealogisti, diretto da G. B. Crollalanza, edito a partire dal 1873, e la Rivista araldica, pubblicata dal Collegio araldico, a cominciare dal 1904. Un'ottima bibliografia in materia di nobiltà e di araldica per l'Italia fu pubblicata nel 1904 da G. Colaneri, Bibliografia araldica e genealogica d'Italia, Roma 1904. Per lo studio della legislazione nobiliare degli antichi stati italiani è molto utile il Memoriale per la Consulta araldica (Legislazione nobiliare), Roma 1889; 2ª ed., Roma 1924. Invece, per lo studio della legislazione vigente, giova il volume di G. Piano Martinuzzi, Il codice nobiliare (Manuale di legislazione e giurisprudenza), Roma 1932. Vedi inoltre G. Sabini, L'ordinamento dello stato nobiliare italiano nella vigente legislazione, Roma 1933.



Bibl.: Para las nobilitas romanas, ver: L. Lange, Römische Alterthümer, II, Berlín 1879, p. i ff.; C. Neumann, Geschichte Roms während des Verfalles der Republik, I, Breslau 1881, pág. 30 y siguientes; Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III, i, Leipzig 1887, págs. 458 ss.; 466 ff.; G. De Sanctis, Historia de los romanos, III, i, Turín 1917, p. 344; IV, i, allí 1923, p. 486 ff.; M. Gelzer, Die Nobilität der römischen Republik, Leipzig 1912; J. Beloch, Römische Geschichte, Berlín y Leipzig 1926, p. 476 ff.; E. Pais, Historia interna de Roma desde las guerras púnicas hasta la revolución Graccana, Turín 1931, págs. 14 y sigs., 47 y sigs.; E. Meynial, Quelques réflexions sur l'histoire de la noblesse romaine, en Estudios jurídicos en honor de Carlo Fadda por el año 25 de su enseñanza, II, Nápoles 1906, págs. 129-163; G. Bonolis, Los títulos de nobleza en la Italia bizantina, Florencia 1905; G. B. Picotti, El "Patricio" en la última época imperial y en los primeros reinos bárbaros de Italia, en archivos históricos italianos, 1928, p. 3 ff.

Para la historia de la nobleza en la Edad Media y en la Edad Moderna: P. Del Giudice, Origen de la enemistad y su introducción en Italia, en Nuevos estudios de historia y derecho, Milán 1913, págs. 106-107; F. Calvi, La aristocracia milanesa, Milán 1875; A. Solmi, La administración financiera del Reino Itálico en la Alta Edad Media, Pavía 1932; G. B. Bognetti, Sobre los orígenes de los municipios rurales de la Edad Media, en 1927; R. Caggese, Clases y municipios rurales en la Edad Media italiana, Florencia 1907, vols. 2; G. Salvemini, Magnati y plebeyos en Florencia desde 1280 hasta 1295, allí 1899; A. Pertile, Historia del derecho italiano, 2ª ed., Turín 1896-1903, vols. 6; A. Dopsch, Beneficialwesen und Feudalität, en Mitteilungen des öst. Institut für Geschichstforschung, XLVI (1932), págs. 1-36.

Para obtener información histórica y genealógica sobre familias nobles, son útiles los anuarios de la nobleza, que sin carácter oficial se publicaron en muchos estados. El más importante de estos annuarî es ​​el Gotha Almanac (Gothaischer Geneal. Hofkalender, Gen. Taschenbuch, de 1763, Gräfl. Taschenbuch, de 1825, Freiherrl. Taschenbuch, de 1849, Adel. Taschenbuch de 1900), que se publica regularmente cada año. Casi todas las publicaciones similares se basaron en él, incluido el Anuario de la nobleza italiana, un volumen por año, de 1879 a 1905, y el Libro de oro de la nobleza italiana, del cual se han publicado siete volúmenes hasta ahora desde 1911. hasta 1932. Una publicación que pretendía dar información histórica y genealógica sobre todas las familias nobles que viven actualmente es la Enciclopedia Noble Italiana, editada por el Marqués Vittorio Spreti, en 6 volúmenes desde 1928 hasta 1932 y del que aún se espera un volumen del apéndice. Los problemas nobles se tratan por primera vez en el Boletín de la consulta heráldica, cuya publicación se inició en septiembre de 1891, pero por importancia también deben recordar el Diario Heráldico-genealógico, compilado por una sociedad de heraldistas y genealogistas, dirigida por GB Crollalanza, publicado desde 1873, y la Heráldica Review, publicada por el Heráldico, a partir de 1904. Una excelente bibliografía sobre el tema de la nobleza y la heráldica para Italia fue publicada en 1904 por G. Colaneri, Bibliografía heráldica y genealógica de Italia, Roma 1904. Para el estudio de la legislación noble de los antiguos estados italianos, el Memorial del Consejo Heráldico (Legislación Noble), Roma 1889 es muy útil; 2ª ed., Roma 1924. Por otra parte, para el estudio de la legislación vigente, resulta útil el volumen de G. Piano Martinuzzi, El código noble (Manual de legislación y jurisprudencia), Roma 1932. Véase también G. Sabini, El orden del estado Noble italiano bajo la legislación vigente, Roma 1933.


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